di Clemente Pistilli
(da l'Espresso)
Perquisizioni e arresti per qualche pianta di marijuana coltivata sul terrazzo di casa potrebbero diventare solo un ricordo lontano. Tanto chi fa uso dell’”erba” per problemi di salute che chi la fuma per piacere, come accade già in altri Paesi, in Italia potrebbe a breve non rischiare più di finire indagato e poi processato solo per qualche vaso di canapa indiana. Come non è reato consumare droga, ma solo spacciarla, potrebbe infatti non esserlo più coltivarla per uso esclusivamente personale. A mostrare un’apertura verso la depenalizzazione di chi coltiva canapa sono stati, il 10 marzo scorso, i giudici della Corte d’Appello di Brescia, che hanno sospeso il processo a un coltivatore appunto e inviato gli atti alla Corte Costituzionale.
Davanti ai magistrati lombardi è finito il caso di un commerciante bresciano, trovato con otto piante di canapa indiana in garage e 25 grammi di marijuana nel comodino. Nel processo di primo grado non è emersa alcuna prova su un’eventuale attività di spaccio da parte del coltivatore. “Quello che mi è stato sequestrato era solo per me, mai pensato di darla ad altri”, ha assicurato. Ma come accaduto a tanti altri, da Nord a Sud della penisola, visto che l’attuale legge considera un reato la semplice coltivazione di canapa, il commerciante è stato condannato lo scorso anno dal Tribunale di Brescia a otto mesi di reclusione e mille euro di multa. A quel punto l’imputato ha impugnato la sentenza e i suoi difensori, gli avvocati Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti, hanno riletto tutta la giurisprudenza degli ultimi venti anni in materia.
Con il referendum del 1993 fare uso di droga non è più reato. Quanti vengono trovati in possesso di sostanze stupefacenti, per uso personale, vengono così soltanto segnalati alla Prefettura. Una semplice violazione amministrativa. Chi coltiva canapa indiana finisce invece sempre e comunque davanti a un giudice, con tanto di avallo, nel 2008, della Cassazione a sezioni unite. Per la difesa dell’imputato tale situazione limita un diritto fondamentale della persona, il principio di uguaglianza. E dello stesso avviso è stata la Corte d’Appello di Brescia, che con un’ordinanza ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, ritenendo che sia ora di rivedere la norma...
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