Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/12/24 ore

Economia, le amnesie e le illusioni di fine anno



di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi 

(dal corriere.it)

 

L’economia italiana continua ad arretrare. Non solo il Prodotto interno lordo scende da 13 trimestri (durante i quali abbiamo perso 600 mila posti di lavoro), ma è ormai dalla metà degli anni Novanta che cresciamo meno della già bassa media europea. Quasi un punto all’anno di minor crescita rispetto ai Paesi dell’euro. In un ventennio abbiamo perso rispetto alla Germania 14 punti di Pil. Oggi il rischio maggiore è assuefarci alla recessione.

 

Parliamoci chiaro. Non esistono scorciatoie né ricette magiche per ricominciare a crescere. Vi sono delle politiche (nostre ed europee) che ci possono aiutare a uscire dalla crisi, ma senza un più profondo rinnovamento dell’economia i nostri figli saranno più poveri di noi.

 

Cominciamo dal primo punto: porre fine alla recessione. La riforma del mercato del lavoro servirà a convincere le imprese ad assumere giovani con contratti a tempo indeterminato. Ma non basta. Ci vuole anche più domanda che va spostata dal settore pubblico a quello privato. Meno tasse, più consumi e investimenti privati, meno spesa pubblica. Soprattutto meno tasse sul lavoro che riducano i costi delle imprese. Dei circa 30 miliardi di maggiori tasse sul lavoro che gravano sulle imprese italiane rispetto a quelle tedesche, la legge di Stabilità ne taglia 5 il prossimo anno e promette di tagliarne altri 20 nei due successivi. Il segno è giusto (ed è la prima volta), ma la misura e i tempi non sono adeguati a un’economia che ha urgente bisogno di riprendersi.

 

I tagli alla spesa pubblica assommano a circa 8 miliardi. Ma di questi solo 200 milioni recano «un nome e un cognome»: il resto sono riduzioni lineari a ministeri e tagli dei trasferimenti a Regioni, Province e Comuni che saranno molto probabilmente compensati da maggiori imposte locali. I sussidi alle imprese vengono ridotti di 87 milioni, su un totale di alcuni miliardi. Un granello di sabbia nel deserto.

 

C’è chi si illude (e purtroppo sono in tanti) che la crescita verrà grazie agli investimenti pubblici promessi dall’Europa con il piano Juncker, un progetto aleatorio e dalla tempistica incerta. Alcuni investimenti, come portare collegamenti Internet veloci a tutti i cittadini, certamente aiutano: al Nord una famiglia su tre non ha ancora accesso a Internet, una su due al Centro-Sud. E la velocità media di navigazione è di 5 megabit per secondo in Italia contro gli 8 in Germania e i 12 in Olanda. Ma la maggior parte degli investimenti pubblici ha benefici dubbi.

 

Per esempio: davvero, dopo quanto accaduto con il Mose di Venezia, pensiamo che ci convenga contribuire con 2 miliardi di denaro pubblico alla nuova autostrada Orte-Mestre, come prevede il decreto sblocca Italia? Sarebbe una gravissima illusione pensare che imprese faraoniche come l’Olimpiade o l’Expo possano imprimere la svolta necessaria alla nostra economia. Con investimenti come questi si continuano a premiare quegli imprenditori che vivono non di idee e di innovazione, ma di contatti con i ministeri e di partecipazione alla corruzione. Non a caso sono questi imprenditori a invocare più opere pubbliche...

 

- prosegui la lettura su corriere.it

 

 


Aggiungi commento