di Marco Demarco
(dal Corriere della Sera)
Il caso di un sindaco condannato non è raro. Purtroppo. Ma il caso di un sindaco pluricommissariato su singoli aspetti amministrativi, privo di una maggioranza stabile, isolato politicamente, perché ormai senza un movimento o un partito di riferimento, e per giunta condannato e con un vicesindaco condannato a sua volta, più che raro è unico. E questo è appunto il caso di Luigi de Magistris, sindaco di Napoli e in procinto di diventare, per automatismo legislativo, anche sindaco della più grande area metropolitana dopo quella di Milano.
Un sindaco così messo, che per responsabilità proprie e vicende politiche nazionali che ha contribuito a determinare (l’inchiesta Why not, le dimissioni di Mastella, la caduta del governo Prodi) si trova ora al centro di un garbuglio politico-istituzionale senza precedenti.
Difficile venirne fuori senza fare i conti con se stesso e con la propria cultura politica. Destra e sinistra dovrebbero invece autoflagellarsi per il troppo spazio lasciato a simili avventure. Un giudice condannato da altri giudici De Magistris, eletto sindaco proprio perché destra e sinistra si sono di colpo liquefatte, era un magistrato, credeva nella moralizzazione per via giudiziaria dei poteri, apparteneva al cosiddetto partito dei giudici, ed ora è stato condannato da altri giudici proprio perché ha fatto abuso dei propri poteri.
Un mondo che si rovescia. Ora il sindaco condannato si appella alla Giustizia con la g maiuscola, rinnega il formalismo processuale e contrappone lo stato della persona, l’intima convinzione della propria innocenza, allo Stato di diritto. Ma questo è l’esatto opposto di ciò che diceva quando era pm, quando era convinto che sarebbero state le sentenze a riscrivere la storia...
- prosegui la lettura su corriere.it