di Angelo Panebianco
(da Corriere della Sera 13 luglio 2014)
Sembrano davvero tanti, non solo in Italia, quelli che hanno già venduto la pelle dell’orso, che scommettono sul successo di Renzi, del suo tentativo di costruire una egemonia, sua e del suo partito, di lungo periodo. Costoro vedono correttamente i punti di forza di questo tentativo ma ne sottovalutano fragilità e debolezze.
La forza di Renzi, che gli ha attirato cosi tanti consensi, anche da destra, sta nella sua comprovata capacità di sfidare alcune convenzioni, tic e luoghi comuni della sinistra. La debolezza (che potrebbe alla fine portarlo al fallimento) sta nella sua arrendevolezza di fronte ad altre convenzioni e altri luoghi comuni.
Chi accusa Renzi di essere solo un bluff non vede quanto sia stato eversivo il suo attacco frontale ad alcune delle principali cittadelle del potere della sinistra. A cominciare dalla Cgil. In questo Renzi assomiglia davvero, fatte le debite differenze, a Tony Blair. Come Blair, egli ha sfidato il conservatorismo sindacale, come Blair ha aggredito centri di potere che da sempre monopolizzavano il diritto di decidere cosa fosse, e che identità dovesse avere, la «sinistra». Su aspetti non irrilevanti Renzi sta davvero tentando di spezzare alcune delle catene (per citare il titolo del bel libro del giornalista del Foglio Claudio Cerasa) di quella parte politica.
Però non è tutto oro quello che luccica . Renzi è stato fin qui molto selettivo. Ha colpito certi luoghi comuni ma si è ben guardato dal metterne in discussione altri.
Si consideri la questione cruciale delle tasse. È ormai chiaro che con Renzi la pressione fiscale non scenderà: è anzi già aumentata e probabilmente aumenterà ancora. E questo nonostante tante voci autorevoli (si pensi soprattutto a Bankitalia) da tempo indichino nell’eccesso di tassazione la causa principale del declino economico del Paese. Ufficialmente le tasse non possono scendere perché non lo permettono i conti dello Stato. È così solo in parte. Le tasse non possono scendere anche per ragioni ideologiche o culturali.
Nella tradizione della sinistra abbassare le tasse è di destra, abbassare le tasse suona berlusconiano. Abbassare le tasse significa abbassarle a tutti, persino a quei ceti medi indipendenti, imprenditoriali e professionali, che la sinistra vive da sempre come i propri antagonisti sociali principali. Abbassare le tasse significa, per la sinistra, «fare regali» a un mondo che tradizionalmente essa giudica assai negativamente imputandogli per lo più ogni sorta di malefatte: dall’evasione fiscale a comportamenti di consumo e stili di vita che essa ha sempre considerato riprovevoli.
Renzi non abbasserà le tasse semplicemente perché il suo mondo non può accettarlo ed egli non sembra intenzionato a sfidarlo su questo punto. Tuttavia, l’impossibilità per il premier di combattere i tabù culturali della sinistra in materia di tassazione potrebbe impedire la ripresa economica. E, alla fine, costargli il successo. Con l’operazione ottanta euro in busta paga Renzi si era proposto due obiettivi: garantirsi il consenso di larghe fasce di lavoro dipendente attraverso una azione di ridistribuzione del reddito e mettere un po’ di soldi nelle tasche delle famiglie per rilanciare la domanda interna. Il primo obiettivo è stato raggiunto. Il secondo ancora no.
I consumi continuano a languire, la domanda interna non accenna a riprendersi. Se le cose continueranno così forse Renzi sarà costretto a cambiare strategia. Sarà costretto a porsi il problema delle tasse. E a quel punto dovrà misurarsi con la forza, con la potenza, dei pregiudizi della sinistra...
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