di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
(dal corriere.it)
È bastato un piccolo numero negativo sull’andamento del Prodotto interno lordo nel primo trimestre dell’anno (meno 0,1%) per riportare indietro di due mesi le lancette dello spread. Dimostrazione di quanto sia ancora fragile la nostra economia. I problemi in realtà vengono da lontano.
Gli spread, le differenze di rendimento fra i titoli di Stato della periferia europea e quelli tedeschi sono scesi, negli ultimi cinque mesi, in buona parte per effetto dello spostamento dei flussi finanziari internazionali dai Paesi emergenti verso l’Europa. Abbiamo cioè tratto beneficio dalle preoccupazioni sulla stabilità macroeconomica, in particolare di Cina, Brasile e Turchia.
Ma l’esperienza insegna che gli investimenti verso quei Paesi sono spesso volatili, fatti di «stop and go », con flussi massicci, seguiti da uscite improvvise. La fuga degli investitori dai Paesi emergenti, che è stata impetuosa all’inizio dell’anno, si è ora arrestata. Anzi, vi sono segni di un ritorno di fiducia, almeno verso alcuni Paesi, come il Brasile. Non solo, ma si mormora che la fiducia concessa ai Paesi europei ad alto debito fosse eccessiva.
Il ministro dell’Economia Padoan ha quindi ragione quando si dice preoccupato che la finestra di spread contenuti si possa chiudere. I segnali non mancano. Giovedì scorso eravamo a quota 178, trenta punti in più della settimana prima. Per evitare una nuova caduta nella fiducia dei mercati è quindi essenziale che dal giorno dopo le elezioni europee il governo acceleri sulle riforme promesse per cercare di aiutare l’Italia a uscire da una recessione che sembra non finire mai e che in sette anni ci ha fatto perdere il 10 per cento del reddito e un milione e centomila posti di lavoro...
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