Sembra esser confermata la volontà della leadership cinese di governare una, sia pur lentissima, transizione nel settore dei diritti umani: il governo di Pechino ha infatti adottato il secondo piano nazionale d'azione per i diritti dell'uomo per il periodo 2012-2015
di Roberto Toniatti
Il governo cinese ha adottato il secondo piano nazionale d’azione per i diritti dell’uomo per il periodo 2012-2015. Si tratta di un documento intrinsecamente politico ed ideologico, nel senso tanto dell’immancabile e monotona ricognizione di successi rispetto al piano precedente (2009-2010), quanto della conferma dell’impostazione del tutto estranea al tenore del dibattito internazionale, che rimane in prevalenza coerente con una visione giuridica liberale ed euro-atlantica.
La lettura del documento è consigliabile per cogliere almeno alcune sfumature di linguaggio e prospettiva. Queste sembrano confermare la volontà della leadership cinese di governare una, sia pur lentissima, transizione in questo settore. I concetti evocati devono tuttavia venire interpretati all’interno del contesto cinese, connotato sia dalle radici confuciane sia dall’impostazione ideologica ufficiale: in apertura si riconosce, ad esempio, che “l’attenzione dei cittadini cinesi per i diritti del’uomo è cresciuta in modo significativo” e che “vi è stato un generale costante avanzamento della protezione dei diritti dell’uomo nell’orbita dell’istituzionalizzazione e del principio di legalità”.
Nel testo inglese, però, il riferimento è alla formula “rule by law”, ben distinta dal “rule of law” e volta a privilegiare marcatamente la volontà politica del legislatore rispetto a qualunque interpretazione da parte di un giudice che possa aspirare ad una qualche indipendenza.
Inoltre, ribadita la continuità politica volta a “mantenere alta la bandiera del socialismo con caratteri cinesi”, si richiama il principio della Triplice Rappresentanza(di tutto il popolo, dell’imprenditoria e della tecnocrazia culturale) che ispira la presente fase della transizione del “socialismo di mercato” e che fornisce dunque il crisma dell’ortodossia ufficiale almeno al discorso pubblico sui diritti dell’uomo.
Infine, innovando rispetto al precedente Piano, si introduce un ultimo capitolo (“attuazione e controllo”) nel quale - benché manchi qualsiasi riferimento all’istituzione che, nella concezione occidentale ispirata alla separazione dei poteri, costituisce la garanzia istituzionale naturale e principale dei diritti dell’uomo, ossia il sistema giudiziario - si attribuisce il compito primario di attuazione e controllo ad un meccanismo congiunto facente capo al governo centrale e al ministero degli affari esteri (a conferma del rilievo della dimensione internazionale della materia).
La realizzazione degli obiettivi del Piano stesso, invece, non solo viene ricondotta ad una pluralità di destinatari - dal Comitato centrale del Partito alle istituzioni di governo centrale e locali - ma è altresì affidata alla “iniziativa e creatività del pubblico [al fine di] innovare il meccanismo di gestione sociale e promuovere il ruolo costruttivo delle Organizzazioni Non Governative in tema di protezione dei diritti dell’uomo”. Grazie anche all’incoraggiamento rivolto ai “mass media per svolgere un ruolo positivo nel pubblicizzare, attuare e controllare il Piano d’Azione”...
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