di Mario Arpino (da Affari Internazionali)
“Sulla Siria Emma Bonino ha compiuto un’ammissione che altri suoi colleghi ministri degli esteri sono restii a pronunciare in pubblico”. Lo riporta il Corriere della Sera di venerdì 17 maggio. Il fatto si riferisce all’audizione alle Commissioni esteri di Camera e Senato, riunite il giorno precedente, quando il ministro, invitata da un deputato ad esprimere un giudizio sull’eventuale imposizione di una no-fly zone, con grande franchezza aveva risposto: “Credo si debba arrivare lì, e arrivare molto presto”. Ha poi aggiunto che si tratta “proprio di una di quelle proposte che altri devono avanzare, anche se sostenerlo è un po’ un armiamoci e partite”.
Responsabilità della politica
Quando si inizia con questo tipo di operazioni si sa come si comincia, ma non dove si finisce. O, meglio, se si pensa all’evoluzione dei casi precedenti – ricordiamo Iraq, Bosnia, Kosovo e Libia – il “dove si finisce” non lascia molto spazio all’immaginazione. In Iraq dopo 12 anni, in Bosnia e Kosovo dopo molti mesi, in Libia – ma solo per la fuga in avanti francese – solo dopo poche ore, la conclusione è stata la guerra. Emma Bonino se ne rende ben conto, lo si comprende dal tono delle sue parole.
È molto positivo che queste dichiarazioni, una volta tanto, siano state esplicite, e ne rendiamo merito al ministro. Nessuno potrà nascondersi quando dalla conferenza degli “Amici della Siria”, il 22 maggio ad Amman sortirà una pressione sul Consiglio di sicurezza a passare a vie di fatto, come per la Libia. O quando il tentativo di colloquio tra le parti, scaturito come ultima spiaggia dal recente incontro tra Erdogan e Obama a Washington – entrambi desidererebbero anche la partecipazione del regime siriano – fallirà miseramente per l’opposizione o la non partecipazione dei ribelli. Ovviamente, assieme a Emma Bonino, noi ci auguriamo che le cose non vadano proprio così. …
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