di Elisabetta Rosaspina
Uno spolverino chiaro, un abito color malva, una maglietta in tinta, due scialli, uno a righe e l’altro a fiori rosa. Non resta molto altro di Nabila e Fariba, due giovani sorelle afgane di Mazar -i-Sharif, nel nord del paese, ai loro disperati genitori.
La tradizione, ancora lei, impone alla famiglia di regalare gli effetti personali dei morti, salvo un paio di vestiti. E la tradizione, sempre lei, aveva messo le due sorelle una contro l’altra. La più piccola, Nabila, 17 anni, difendeva con la forza dell’illusione il suo diritto a innamorarsi. Meglio: a innamorarsi di chi voleva, come aveva visto accadere alle sue eroine in tivù.
La più grande, Fariba, sapeva già che non sarebbe stato possibile, che quel ragazzo incontrato da Nabila fuori dai circuiti tradizionali non avrebbe superato l’esame dei genitori e che prima si fosse interrotta la relazione, meglio sarebbe stato per tutti. Nabila e Fariba si volevano molto bene, anche quando litigavano a pieni polmoni.
Però in Afghanistan la tradizione, di nuovo lei, non consente alla sorella minore di rimbeccare la maggiore, di mancarle di rispetto. Così, senza nemmeno conoscere i termini della disputa, la madre delle due ragazze era intervenuta a sedare la lite secondo le regole vigenti: due schiaffi alla piccola insubordinata...
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