di Michele Nones (da Affari Internazionali)
Dopo quella che è stata la più brutta e difficile settimana nella storia di Finmeccanica, ci si deve necessariamente interrogare sul suo futuro. Le conseguenze di quanto avvenuto rischiano, infatti, di ripercuotersi pesantemente sul gruppo in termini di affidabilità e credibilità. Difficile dire quanto influiranno a livello di investitori finanziari e di clienti, ma di sicuro ci vorranno anni per ricostruire un’immagine che corrisponda alla vera Finmeccanica e non a quella che è stata presentata nell’ultimo anno e mezzo.
Indispensabile chiarire al più presto la vicenda giudiziaria della commessa indiana che, per la prima volta, ha coinvolto non solo singoli dirigenti, ma lo stesso Gruppo. Ma ancora più indispensabile è che il nuovo governo si faccia subito carico delle sorti di questo asset nazionale. Finmeccanica non è solo un’impresa di cui lo Stato è l’azionista di riferimento (ruolo che sembra essere stato dimenticato soprattutto da quando, esattamente un anno, fa è cominciata questa inchiesta).
È anche il maggiore gruppo italiano nel settore delle alte tecnologie, con 70 mila dipendenti e una presenza importante nel Regno Unito e negli Stati Uniti, paesi dove non si scherza con il tema della correttezza etica, oltre che giuridica. È rimasto praticamente l’unico dopo l’abbandono di telecomunicazioni, energia nucleare, chimica, informatica, farmaceutica. Per questo l’Italia non può permettersi il lusso di perdere queste capacità tecnologiche e industriali.
Due sono i nodi sul tappeto su cui il governo dovrà dare le sue indicazioni.
Priorità strategiche
Innanzi tutto, Finmeccanica è presente in troppi settori. Nello scorso decennio è cresciuta rapidamente, utilizzando le risorse finanziarie assegnatele in dote dallo Stato al momento della privatizzazione e indebitandosi poiché non riusciva a raggiungere adeguati profitti, soprattutto a causa di alcune aree di perdita. Adesso non può più né seguire adeguatamente né sostenere tutte le sue società. ….
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