Il rapporto tra magistratura e potere politico è stato al centro del dibattito moderato da Giuseppe Di Leo, svoltosi su Radio Radicale in occasione della presentazione del fascicolo della rivista "Democrazia e diritto", al quale hanno partecipato Michele Prospero, direttore di “Democrazia e diritto”, il professor Carlo Guarnieri, l’ex presidente della Camera Luciano Violante, e il direttore di Quaderni Radicale e Agenzia Radicale Giuseppe Rippa.
Fu negli anni ’90 che esplose il tema della “politicizzazione della questione giudiziaria”, un’espressione con la quale, ha ricordato Prospero, non si intende “una sorte di mano occulta che guidasse le toghe rosse”, ma “il fatto che i partiti anche di sinistra non seppero distinguere tra l’impatto dell’azione giudiziaria di Tangentopoli e l’azione politica, per cui affidarono alla delegittimazione del vecchio ceto politico che le inchieste portavano avanti, l’azione politica che doveva invece essere più attenta all’autonomia dell’iniziativa politica”.
Luciano Violante ha avanzato un’interessante ricostruzione storica, sottolineando la distinzione tra democrazia rappresentativa e democrazia costituzionale. La prima, che pone il fulcro del sistema politico attorno al principio di rappresentanza fu per lungo tempo propria del modello europeo, la seconda, per la quale vi è un limite alla politica rappresentato dalla costituzione, ha rappresentato il principio del modello statunitense. “Alla fine della seconda guerra mondiale – ha ricordato Violante – gli Alleati pongono due condizioni alla Germania e all’Italia: avere una costituzione rigida e una Corte costituzionale che sorvegliasse il potere politico. Da quel momento in poi anche in Europa le magistrature fanno parte della governance”. Per tali motivi “dobbiamo renderci conto che la magistratura è dentro questo mondo, fa parte del sistema politico, e non bisogna per questo tirarsi via i capelli, ma comporta delle regole anche da parte della magistratura, perché ciò che non vogliamo è una democrazia giudiziaria”.
Tuttavia, mentre le corti costituzionali prevedono nomine da parte degli altri poteri, la magistratura ordinaria è stata collocata in una zona a parte, e questo secondo il prof Guarnieri è un problema, “perché spesso lo stesso controllo di legittimità costituzionale viene esercitato anche dalla magistratura ordinaria, almeno in una prima fase”. Il punto è che il giudice federale americano o anglosassone è un giudice scelto e reclutato dopo una lunga esperienza nelle professioni legali e nella società.
“I nostri giudici, di gran parte dei paesi europei – ha affermato Guarnieri – sono giudici reclutati subito dopo gli studi universitari, senza avere quella pratica professionale e quella conoscenza della società e dell’economia. Si trovano però a prendere in alcuni casi decisioni che hanno implicazioni molto importanti (per esempio nel campo sanitario, decisioni che hanno portato costi elevatissimi sulla base di considerazioni estremamente discutibili)”. Il quadro generale ci mostra una “ una magistratura che non è dal punto di vista culturale adeguata ai compiti che le sono stati assegnati dalla seconda metà del XX secolo”. E’ importante evidenziare, inoltre, il riferimento di Guarnieri alla notevole influenza che i mezzi di comunicazione hanno svolto nella “via giudiziaria al mutamento politico”, con un forte rilievo dato agli atti del pubblico ministero.
Giuseppe Rippa ha ricordato la perplessità – storicamente significativa – di De Nicola, che quando assunse provvisoriamente il ruolo di presidente della Corte costituzionale, descrisse la Corte come anche “un rischio possibile di non applicazione della Carta costituzionale”. “E’ inutile – ha dichiarato Rippa – ripercorrere il concetto dell’autonomia del giudice, che è parte essenziale della civiltà democratica.
Come si è poi fattualizzata questa autonomia potrebbe essere letta in vari modi. Ci sono ad esempio storici del comunismo – intesi come politici – come Emanuele Macaluso, che descrivono come la magistratura sia sempre stata legata al potere politico e in qualche modo ha esercitato anche una funzione rispetto al movimento operaio in chiave discriminante”. Ma è passando alla storia recente che è possibile rintracciare due aspetti principali del conflitto tra magistratura e politica, con la conseguente giuridicizzazione di quest’ultima: da una parte “l’accidente che ci è capitato, cioè il berlusconismo come epifenomeno di questo conflitto, e tutto quello che questo ha scatenato, ha sicuramente rallentato ogni ipotesi riformatrice di cui pure si avvertiva l’esigenza”, dall’altra “dobbiamo fare i conti con una certa sinistra che si è consegnata al cambiamento politico attraverso la via giudiziaria, e quindi ha aperto la strada a una forzatura”.
È chiaro, comunque, che “attorno alla questione giustizia si consuma una crisi di sistema”, più che mai attuale se si guarda anche al conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale contro i pm di Palermo e alla pubblicazione delle lettere tra il presidente Napolitano e il consigliere D’Ambrosio (“Colpiscono lei per colpire me” le parole di Napolitano).
- "Sistema politico e magistratura" (video da radioradicale.it)
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