Con il coinvolgimento del proprio segretario regionale, anche l’Idv di Di Pietro è finito nell’occhio del ciclone per quella che sarebbe da definire “la razzia istituzionalizzata” attuata nel consiglio della Regione Lazio.
Vincenzo Maruccio, capogruppo e coordinatore regionale Idv, è accusato di essersi messo in tasca circa 800mila euro di rimborsi ai gruppi consiliari, confermando l’evidenza – sapientemente ignorata – che la causa della degenerazione politica e degli scandali giudiziari non è rappresentata dai Fiorito di turno, ma da un intero sistema partitocratico che nel suo processo di alimentazione e riproduzione finisce col perdere il controllo di alcuni soggetti operativi, in fondo marginali.
Lascia comunque perplessi il modo in cui l’ex magistrato di Mani Pulite ha affrontato la vicenda. Prima ha avanzato un ultimatum di 3 ore a Maruccio per presentare le dimissioni, celebrando la propria condotta moralista ma liquidando qualsiasi forma di autocritica (“A tutti può capitare di trovarsi con qualche persona che non merita di stare nel partito”), poi una volta ricevuta la risposta positiva del consigliere ha attaccato gli altri partiti, distanti anni luce dal limpido e puro sistema di valori dipietrista: “C’è una bella differenza tra chi sta in galera, come Fiorito, e continua a percepire lo stipendio, e il nostro consigliere che, subito dopo esser stato indagato, non ha esitato ed ha rassegnato le dimissioni da ogni ruolo e incarico”.
Il caso-Maruccio, in poche parole, lungi dal condurre ad un’analisi critica della selezione e del funzionamento dell’intero partito, si è addirittura trasformato in uno strumento di propaganda politica. L’unico accenno di cambiamento concesso da Di Pietro è stato un appello al popolo della Rete: “Le prossime candidature verranno sottoposte preventivamente al vaglio della Rete, con primarie online. Perché quattro occhi vedono meglio di due”. Un modo furbo di strizzare l’occhio al popolo grillino e internettiano, sempre più orientato verso il Movimento 5 Stelle.
Eppure, anche con l’aiuto della Rete, quattro occhi potrebbero non bastare. A preoccupare l’Idv non sono solo i noti De Gregorio, Razzi, Scilipoti e ora Maruccio (tra l’altro avvocato personale di Di Pietro), ma una serie di vicende interne scomode ed imbarazzanti: consiglieri indagati o condannati (i “manettari finiti in manette”, come li definisce Filippo Facci), sostegni a candidati con lunghe fedine penali, perfino candidature di piduisti.
Ciò che resta è un’Italia dei Valori sprovvista di qualsivoglia appeal elettorale. La battaglia giustizialista e moralista ha dovuto fare i conti con la realtà interna del partito, fatta anch’essa, checché se ne dica, di scandali e interventi della magistratura. La mobilitazione demagogica dei cittadini ha dovuto cedere il passo al Movimento grillino, più organizzato e privo di una storia politica, ma anch’esso esposto a questi rischi.
L’anti-montismo d’occasione non è stato in grado di far breccia né sull’elettorato né sullo stesso partito, tanto che il capogruppo Donadi ha annunciato di votare Bersani alle primarie: “Non vuoi il Monti bis? L’unica alternativa concreta e l'unica l’opzione capace di coniugare rigore e giustizia sociale è votare Bersani”.
L’unica fortuna per Di Pietro pare essere la distanza temporale tra l’emergere del malaffare laziale e le prossime elezioni politiche. Ma forse sei mesi, per riformare la propria creatura politica, non basteranno.
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