Enrico De Nicola fu tra i primi a prefigurare la conversione della Corte costituzionale da organo a tutela della nostra Legge fondamentale a strumento di manipolazione giuridica, corrispondente ai criteri di opportunismo politico.
In occasione dei ripetuti affossamenti dei referendum abrogativi presentati dai radicali, a Marco Pannella si deve la definizione ancor più drastica di “cupola del regime partitocratico”, capace di prescindere dalla lettera della legge per proporne un’applicazione funzionale alle preoccupazioni del momento del sistema politico.
Anche oggi dobbiamo registrare la conferma di questi dubbi, leggendo l’ordinanza con la quale la Consulta ha dichiarato illegittimi quattro conflitti di attribuzione sollevati sul referendum relativo al taglio dei parlamentari e il suo abbinamento al voto amministrativo. Le quattro istanze erano state presentata dal Comitato per il No, dalla Regione Basilicata, da +Europa e dal senatore Gregorio De Falco.
Nella nota esplicativa della decisione, dalla Corte costituzionale fanno sapere che il conflitto sollevato dal Comitato per il NO, riguardante l’inedito abbinamento fra consultazione referendaria ed elezioni, è respinto “perché il Comitato non ha legittimazione soggettiva a sollevare questo conflitto dato che la Costituzione non gli attribuisce una funzione generale di tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell'intero corpo elettorale”.
Questo significa che il giudizio redatto da Giuliano Amato, il giudice relatore, non ha considerato il merito della questione, ma ha contestato la legittimità del Comitato quale garante dell’esercizio del diritto di voto. Ma, ci si domanda, chi in effetti dovrebbe esercitare tale funzione?
Per l’ordinanza non ha alcun rilievo che sino ad oggi non vi è mai stata coincidenza fra referendum ed elezioni, tant’è vero che si è giunti a votare separatamente anche a una sola settimana fra una consultazione e l’altra. Né si è considerato il peso particolare che la scelta dell’abbinamento ha in questo caso, poiché il referendum costituzionale è privo di quorum e pertanto – riunendolo al voto amministrativo – si riduce la rilevanza attribuita dalla norma al cittadino nell’espressione del suo SI o NO al referendum.
Anziché respingere il contenuto delle obiezioni avanzate, si giudicano illegittimi i ricorrenti. Il fatto che tale decisione della Consulta sia ancora una volta “in linea” coi desiderata prevalenti – di governo e forze politiche – non può che suscitare perplessità.
Oltre che rafforzare le preoccupazioni che deriverebbero da questa modifica del testo costituzionale, perché così la Corte costituzionale ha fatto da utile sponda alla sequenza di atti preparatori di una compressione del libero confronto e della partecipazione democratica.
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