È bastato che nel dibattito al Senato Matteo Renzi pronunciasse il suo discorso di “penultimatum” alla maggioranza che sostiene il governo, perché giuristi e personalità delle istituzioni (Zagrebelsky, Cartabia) che pure avevano mosso osservazioni critiche sulla legittimità costituzionale dei provvedimenti emanati dal premier Conte innestassero una rapida retromarcia. A dimostrazione di quanto certi pronunciamenti vengano utilizzati da opportunismi strumentali che non rispecchiano l’espressione di radicati convincimenti, fondati davvero sulla difesa dello Stato di diritto e dei principi democratici.
Il che non deve meravigliare più di tanto, tenuto conto di come in passato la stessa Corte costituzionale si sia distinta nel plasmare a proprio piacimento il dettato della Legge fondamentale: basti pensare alle sentenze sui referendum, adattate ai bisogni degli equilibri politici del momento prescindendo dalle considerazioni di merito. Oggi, di fronte a possibili dinamiche d’azione parlamentare e a possibili riprese d’iniziativa dei soggetti politici, scatta l’allarme generale e, nel completo rovesciamento della realtà, la generalità dei media – a cominciare dai giornali più simili a guardie pretoriane di Cesare che non a libere tribune – attribuisce a ciò il marchio infamante del “golpismo di palazzo”.
Ad avere deturpato il volto del nostro ordinamento democratico è stata un’abile gestione della comunicazione del virus, che è stato “usato” così come furono usate altre emergenze allo scopo di incuneare leve normative e far assimilare dalla collettività una rappresentazione dove si dà un enorme spazio di manovra a pochi centri decisionali.
Fondamentale per questo è stata la lettura volta a descrivere la situazione creatasi come unica ed eccezionale, a dispetto di una minima consapevolezza storica che avrebbe invece rivelato la possibilità di ben altro tipo di reazione ad essa. Senza riandare alle pestilenze medievali, basterebbe considerare quanto diverso fu il comportamento in occasione del diffondersi dell’AIDS che falciò negli anni Ottanta milioni di persone, ma non determinò alcuna restrizione delle libertà individuali imposta per decreto.
Chi si è trovato occasionalmente al governo dell’Italia non ha fatto altro che prestarsi supinamente a questa rappresentazione, che probabilmente risponde a un disegno strategico di molta più vasta portata teso a realizzare una profonda destrutturazione sistemica. Di essa si vedranno a breve i drammatici risultati sul piano economico, accelerati – quanto volutamente? – profittando della dichiarata pandemia da Coronavirus: intere filiere produttive compromesse, decrescita industriale e riduzione all’inattività di grandi masse di popolazione, affidate solo ai sussidi pubblici.
Fatto sta che la maggioranza attualmente al governo vi ha corrisposto in pieno e l’agenda dettata dai 5Stelle è stata finora accettata e sottoscritta dal PD, tanto che le indicazioni proposte sono tutte nel segno dell’assistenzialismo e della conseguente mortificazione di ogni iniziativa autonoma.
Una strada che presto si interrompe e ci lascia in un pantano nel quale si affonda come nelle sabbie mobili. Per questo è urgente invertire la marcia e non basta certo esprimere semplici richiami, come è stato fatto dal Presidente della Repubblica che, pure, non ha potuto fare a meno di rilevare come siano “necessarie indicazioni, ragionevoli e chiare, da parte delle istituzioni di governo”, confermando così che quelle emanate sino ad oggi non lo sono state.
Né ragionevoli, né chiare: funzionali piuttosto a perdurare nello stato di incertezza e soprattutto a preservare un’area di assoluta discrezionalità nell’applicazione che sconfina nell’arbitrio.
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