Fra le prime iniziative politiche del Partito Radicale rifondato da Marco Pannella ci fu, assieme alla richiesta di abolire il Concordato fascista del 1929 accolto nella Costituzione repubblicana con l’art. 7 votato da Dc e Pci, la raccolta di firme per abolire i reati di opinione presenti nel Codice Rocco.
Dapprima ci si mosse attraverso il dibattito su riviste come «Belfagor» ed è significativo che all’epoca, a sostegno della revisione del codice, ci fosse un gruppo di magistrati democratici: nel 1971, si viveva una situazione ben diversa da quella odierna, dove la corporazione in toga non si distingue certo per una sensibilità libertaria.
Nel 1974 la raccolta firme non raggiunse il numero sufficiente, ma quattro anni dopo il referendum non poté svolgersi perché bocciato dalla Corte Costituzionale, a dimostrazione di quanto anche l’Italia repubblicana fosse lontana dai fondamenti liberali.
Questa premessa si rende necessaria per inquadrare nel giusto contesto le perplessità sulla legge che istituisce una commissione parlamentare per il contrasto ai fenomeni di intolleranza. Alla commissione, approvata dal Senato nella seduta del 30 ottobre, spetterebbe il compito di selezionare e segnalare tutti i fenomeni rientranti nella categoria degli hate speech, letteralmente i discorsi fomentatori di odio, che verrebbero poi in qualche modo sanzionati dall’autorità. Nella relazione di presentazione della proposta troviamo, tra i fenomeni oggetto della vigilanza, “anche i nazionalismi e gli etnocentrismi… gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi e le ingiurie”.
Come si vede una formula assai ampia, ma che soprattutto non riguarderebbe tanto le azioni quanto le parole. Ed è proprio questo che non va: immaginare sanzioni sui modi di pensare o di esprimersi – per quanto pregiudiziali o del tutto falsi – ripete sostanzialmente la stessa logica presente nel Codice Rocco. A ragione Carlo Nordio osserva oggi sul «Messaggero» che “Il nostro legislatore non ha infatti saputo liberarsi di un codice del 1930, ma continua imperterrito a sfornare norme “antifasciste”. Una dissociazione schizofrenica che non ha uguali in altri Paesi”.
Se questo può accadere è perché, ancora oggi, nell’arco complessivo delle forze politiche, prevale una logica che apre un varco pericoloso in una direzione che rimane del tutto estranea ai principi liberali. Anche perché questi ultimi, da sempre minoritari, sono nell’attuale fase storica di fatto negletti e ripudiati dal dibattito pubblico.
In questo senso appare abbastanza deprimente che a nascondersi dietro la lotta all'anti-semitismo siano poi coloro (una certa "pseudo" sinistra e 5stelle) che danno da sempre copertura politica a organizzazioni che boicottano Israele e solidarizzano con gli hezbollah.
Basti pensare all’attuale ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti, vero campione di fanatismo, che nel 2016 non esitò a promuovere un “boicottaggio intellettuale” contro l'ambasciatore di Gerusalemme, annullando la sua partecipazione a un convegno solo perché presenziava anche l’ambasciatore di Gerusalemme.
A ciò si aggiunga che, dal punto di vista giuridico, negli ultimi tempi si è registrata una massiccia produzione normativa che già fornisce al tutore della legge ampi strumenti per condannare e reprimere comportamenti discriminatori o violenti. Se la necessità non spiega la costituzione della commissione, evidentemente le sue ragioni risiedono altrove e questo non milita certo a favore della trasparenza di intenti dei partiti.
Difficile dar torto a Carlo Nordio quando prefigura il rischio che la commissione possa “trasformarsi in un mostro censorio”. E in un Paese devastato dalla faziosità e ancora carente dal punto di vista di una chiara identità liberale e democratica della sua classe politica, non è il caso di dare spazio a strumentali manipolazioni che non conseguirebbero nemmeno l’obiettivo di favorire e nutrire un dibattito civile.
Questo si alimenta con la corretta informazione e la diffusione del sapere, non certo con la censura esercitata da commissari parlamentari, fra l’altro variabili a seconda dei risultati elettorali.
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