Eppure i soldi c'erano. O meglio, così avevano assicurato, mettendolo pure nero su bianco nel Blog delle stelle (già “sacro” di Grillo) a gennaio. Non solo: in giro per comizi lo andavano ripetendo come un mantra. E alla domanda “come farete a sostenere le promesse e il programma?”, Luigi Di Maio rispondeva: con 30 miliardi dai risparmi dalla spending review, 40 miliardi dal taglio delle detrazioni e deduzioni, 10-15 miliardi da più deficit.
Con queste cifre altro che reddito di cittadinanza. Ce ne sarebbe stato per tutti i gusti, forse anche per quelli di Salvini, allora antagonista nella pseudo-alleanza di centrodestra.
Evidentemente qualcosa è andata storta. A pochi giorni dalla presentazione della Manovra, al ministero dell'Economia stanno infatti facendo ancora i conti della serva. Non si trovano più i denari. Mancano persino i fondi per fare molto - ma molto - meno di quanto annunciato.
Ovvero, quel che resta delle tre priorità del "contratto": il reddito di cittadinanza, che non è più il reddito di cittadinanza; la Flat tax, piatta come il pianeta terra e la revisione delle legge Fornero, diventata una barzelletta tra le tante che il “Capitano” ha ripetuto due giorni fa da Floris su La7.
Con le casse semivuote non resta quindi che stabilire le priorità. Tria si mostra inamovibile e a quanto pare vorrebbe sacrificare maggiormente il sussidio ai disoccupati. Ma Di Maio non vuole sentire ragioni: pretende “che il ministro dell'Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani che momentaneamente sono in grande difficoltà". Perché – ha rincarato - "Un governo serio, che ha fatto delle promesse, non può aspettare due o tre anni per mantenerle".
In realtà, ce ne vogliono almeno 5, come va dicendo ora il leader della Lega, cambiando le carte in tavola. A conferma – ma non ce n'era tanto bisogno - che tra quelle promesse elettorali, oltre che nel governo pentastellato, di serio c'è ben poco. (A.M.)
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