“Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco”. Luigi Di Maio ha usato il motto caro all'allenatore di calcio Giovanni Trapattoni nel dare l'annuncio dell'accordo raggiunto sull'Ilva tra l'acquirente ArcelorMittal e i rappresentanti dei lavoratori. Chissà, sotto sotto il ministro dello Sviluppo economico spera ancora che accada qualcosa di irreparabile che mandi tutto all'aria prima della firma definitiva.
La sua espressione non è apparsa raggiante come quando “fa la storia” con le sedicenti “Waterloo” altrui... Non poteva essere altrimenti nel giorno in cui prende forma una solenne promessa mancata.
In campagna elettorale i grillini si erano sbilanciati tanto, forse troppo, perdendo come spesso gli capita il contatto con una realtà molto più complicata. Partito da posizioni estreme, chiusura degli impianti di Taranto e fantasmagorica riconversione eco-sostenibile del sito, Di Maio ha dovuto così fare i conti con un affare molto più grande di lui. Ha cercato subito di menare il can per l'aia, tirando avanti con l'estate a suon di propaganda. Poi, arrivati al dunque, è stato costretto a prendere atto dei fatti, pur provando almeno a scaricare il barile delle responsabilità per le decisioni assunte sulle altre parti in causa.
Per come si sta concludendo la vertenza, il Pd già si rallegra del sostanziale rispetto delle scelte assunte dal governo Gentiloni. Anche i sindacati possono ritenersi soddisfatti, perché hanno ottenuto "quello che avevano chiesto" - in termini di assunzioni, uscite volontarie con indennizzo e applicazione dell'articolo 18. Persino Luigi Di Maio può in qualche modo mostrare la medaglia per il miglioramento dell'accordo chiuso sotto l'egida del predecessore Calenda, grazie alla sua azione, diciamo, di pungolo.
Resta per lui la macchia del totale cambiamento, questo sì, d'idea. Non è la prima volta, non sarà l'ultima. Gli elettori del M5S dovranno abituarsi. (A.M.)
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