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24/12/24 ore

Per Paolo Mieli il Partito del Quirinale può fermare il sovranismo


  • Luigi O. Rintallo

Nell’intervista che Paolo Mieli ha rilasciato lunedì 3 settembre a Maurizio Caverzan per il quotidiano «La Verità», vi sono tre passaggi che meritano di essere segnalati e sui quali occorre svolgere una qualche riflessione.

 

Il primo riguarda una battaglia storica dei radicali: quella per combattere la fame, intrapresa quasi quarant’anni fa nell’80. Al giornalista che gli chiede se l’emergenza immigrazione si poteva prevedere, Mieli risponde riconoscendo che “Marco Pannella impostò una grande campagna sulla fame nel mondo per evitare ciò che ora è davanti a noi”.

 

È un riconoscimento importante, anche se alquanto gesuiticamente nulla dice sul fatto che la grande informazione all’epoca si guardò bene dal sostenere l’iniziativa radicale. Su impulso di Pannella, la segreteria del Partito Radicale allora affidata a Giuseppe Rippa impostò la campagna contro lo sterminio per fame e per “tre milioni di vivi subito”, evidenziando una sua triplice valenza: morale, economica e politica.

 

Morale perché mirava a restituire all’80 per cento dell’umanità quella percentuale di mezzi idonea a resistere contro la fame; economica, nel senso che rappresentava anche un modo per allargare i mercati e favorire la crescita delle aree depresse (in particolare pensando all’Africa dirimpettaia dell’Italia e dell’Europa); e infine politica, poiché affrontando per tempo la questione dello sviluppo dell’Africa si sarebbero poste le premesse per un controllo razionale dei processi migratori.

 

Di rilievo è anche il secondo aspetto, più legato all’attualità politica, emerso nell’intervista. Mieli, riferendosi alle contestazioni rivolte agli esponenti del PD presenti ai funerali delle 43 vittime del crollo del ponte Morandi, afferma che “questo fatto sarà ricordato nei libri di storia”. Per la prima volta chi è all’opposizione è stato fischiato, mentre ad essere applauditi sono stati i leader di governo. Mieli ne ricava che con il voto del 4 marzo 2018 è cominciata una nuova storia e che difficilmente potranno tornare i partiti tradizionali.

 

Da un lato queste considerazioni evitano di spiegare le ragioni profonde che hanno mosso la reazione popolare e, dall’altro, danno un’interpretazione che ­– a nostro avviso – attribuisce alle forze di governo un carattere alternativo di cui invece sono prive.

 

I motivi che hanno segnato la drammatica cesura con la classe politica espressa dal PD vanno individuati nel fatto che il crollo del viadotto dimostra quanto la politica sia diventata subalterna rispetto ai soggetti economici.

 

Che Autostrade per l’Italia dei Benetton abbia avuto contratti di concessione estremamente favorevoli è la prova che, dopo Tangentopoli, la “corruzione” dei politici non si limita più alla raccolta di fondi, preservandosi uno spazio di autonomia nelle scelte strategiche (vedi caso SME negli anni Ottanta), ma addirittura fa assumere loro le decisioni di governo in funzione degli interessi privati espressi dai potentati economici. Dall’Ulivo in poi, il centro-sinistra ha diluito la capacità di iniziativa politica, consegnandosi di fatto alle lobbies di riferimento e tutto ciò si è reso manifesto a livello di massa negli ultimi anni.

 

Come conseguenza di tale consapevolezza, si è avuta la crescita dei consensi per il Movimento 5 Stelle e per la Lega di Salvini, ai quali però sarebbe improprio far vestire i panni di un’alternativa di sistema. In primo luogo perché non ne sono affatto estranei tant’è che finora la loro pratica di governo non si discosta più di tanto da quelle del passato in termini di occupazione dei luoghi di potere e, in secondo luogo, perché finora le scelte da essi ventilate non evidenziano un approccio veramente alternativo sul fronte dell’economia, considerato che restano ancorati a criteri tutt’altro che liberali come invece è richiesto dalla situazione che viviamo (statalizzazione, assistenzialismo).

 

È pur vero, però, che se non altro da un punto di vista generazionale e di estrazione sociale, i loro esponenti esprimono un milieu diverso da quello dell’establishment. Da gran cerimoniere di quest’ultimo, Paolo Mieli propone nell’intervista la via d’uscita, che rappresenta poi il terzo elemento significativo: vale a dire la “normalizzazione” di Salvini e Di Maio, attraverso l’opera di contenimento dall’interno del governo stesso attraverso i ministri dell’Economia e degli Esteri, Tria e Moavero, che – sostiene Mieli – fanno “capo al presidente Sergio Mattarella”.

 

Riaffiora, così, quel “partito del Quirinale”, che è cosa diversa dal Capo dello Stato, e che tanto ha condizionato le vicende del nostro Paese dal 1992 a oggi. E sul quale sarà il caso di tornare prossimamente.

 

 


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