Non hanno trovato la pistola fumante. Perché a quanto pare lo Stato, per mano del precedente governo, si è macchiato del classico “delitto perfetto”. Parola – il che è tutto dire – di Luigi Di Maio.
Nel corso di una logorroica conferenza stampa sul caso Ilva, il ministro dello sviluppo economico ha dato così la personale interpretazione del parere negativo dell'Avvocatura dello Stato sull'ipotesi di cancellazione dell'assegnazione degli impianti di Taranto alla ArcelorMittal, ripetendo più volte “secondo noi l'atto è illegittimo”.
Ciò si evincerebbe dalle irregolarità che avrebbe riscontrato l'Avvocatura soprattutto a proposito dell' “eccesso di potere”. Ma sul punto – come su altri – la questione non è poi così chiara. Perché il governo del “cambiamento”, che fa della trasparenza un caposaldo, non ha ritenuto opportuno diffondere il documento ufficiale, ripromettendosi di farlo in un momento successivo.
Nel frattempo ha divulgato la cervellotica versione elaborata dall'ufficio propaganda della Casaleggio e associati, a beneficio più che altro dei webeti e dei tifosi-elettori del Movimento, sostenendo che per l'annullamento della famigerata gara imbastita da Carlo Calenda è necessario anche “un interesse pubblico concreto e attuale”.
Se solo “esistessero aziende che volessero partecipare alla gara noi potremmo revocare questa procedura per motivi di opportunità", ha detto Di Maio. In assenza il barile passa al ministero dell'Ambiente. Sarà compito di quel dicastero fare gli ultimi tentativi per scovare magagne ecologiche che autorizzino il governo a ripartire da zero. Contemporaneamente si conta su un accordo tra azienda e sindacati sui livelli occupazionali da garantire, pena – appunto - l'annullamento.
C'è tempo fino al 15 settembre, termine di scadenza per la conclusione del contratto di vendita, inizialmente prevista al 30 giugno. In quella data una decisione dovrà essere presa. E sappiamo quanto sia difficile per dei fuoriclasse nella distruzione dell'esistente cimentarsi in qualcosa di costruttivo. A maggior ragione quando si è costretti a barcamenarsi mentre si disattendono le promesse che hanno fatto le fortune elettorali. (red.)
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