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02/05/24 ore

PD, 10 anni e non sentirli...


  • Antonio Marulo

Avrà un futuro il Pd? Ce lo chiedemmo nel 2013, in tempi un po' meno sospetti, in Quaderni Radicali (n. 109). Allora fu “arduo rispondere”, tali e tante erano “le ambiguità e le contraddizioni” in essere. A distanza di 4 anni, dopo aver preconizzato i rischi di dissolvenza del renzismo (QR 111), siamo tornati sulla vexata qaestio la scorsa estate col fascicolo 114 della rivista di cui questa agenzia è il supplemento telematico dal 2001. Lo scopo è stato quello di riflettere sulle possibilità che prenda forma un vero partito democratico, visto che nulla è cambiato nel frattempo, se non in peggio.

 

Semmai, come ormai molti sono costretti ad ammettere anche a sinistra, siamo di fronte a un partito in realtà mai nato, nonostante i propositi iniziali. Il padre nobile e fuori dalla rissa Walter Veltroni li ha ricordati, evocati, ri-sognati nel decennale dell'Eliseo a Roma, provando a esaltare le “ragioni della nascita del Pd” attraverso la retorica che conosciamo. Il tutto preceduto dall'immancabile momento degli affetti, del ringraziamento e della gratitudine verso tutti quelli che vollero si compisse l'opera, finita poi male.

 

Infatti, Veltroni – sottolineava nell'editoriale Geppi Rippa in QR 109 - si fece “promotore di una transizione verso un soggetto nuovo, di carattere liberal, secondo un modello americano, che poi è tramontato con le sue affrettate e inspiegabili dimissioni”.

 

Più vivo che mai, invece, oggi resta e deve restare l'orgoglio (“delle nostre identità”, “dell'essere di sinistra”, “dell'idea che si ha del mondo”, “di essere dalla parte degli ultimi”....), che è stato il filo conduttore di una giornata in cui non c'era nulla da festeggiare. A maggior ragione dopo le diserzioni al compleanno, oltre che di Prodi e Parisi, di quelli (Cuperlo, Orlando, Emiliano...) che decisero all'ultimo di restar dentro (ma non troppo), con i Malox a portata di mano, e di non seguire D'Alema e compagnia nell'ultima ed ennesima scissione.

 

Il problema – si ritiene - starebbe nel “massimalismo” e nelle “divisioni”, divenuti i “mali storici della sinistra”. Come se poi anche queste non fossero la logica conseguenza del difetto di fabbrica di un partito che prima di tutto manca di cultura liberale.

 

In proposito non ci si poteva illudere su accenni o anche involontari riferimenti. Non era nemmeno il momento, né la sede adatta. All'Eliseo c'è stata solo una gran voglia di lasciarsi alle spalle il passato per proiettarsi verso il futuro elettorale. Renzi ha proposto nel suo intervento “di uscire dalla discussione come l'abbiamo conosciuta”, mettendo in guardia dal “nemico” – il “dibattito interno” – e invitando a concentrarsi sull' “avversario: la destra, quella populista dei 5 Stelle, quella che tiene insieme Berlusconi e Salvini”.

 

“Sarà un corpo a corpo in tutti i collegi” – ha avvertito il Segretario. Con il Pd – o ciò che ne resta – quale baluardo e “unica forza politica che può costruire una proposta credibile per l'Europa e per il Paese”. E per questo, dopo tutto e oltretutto in questi anni sinistrati, adesso pare che tocca dirgli pure grazie...

 

 


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