Almeno Renzi s’è fatto un selfie con le ragazze della pallavolo. Il siparietto da buontempone rischia però di essere l’unica cosa per cui è valsa la pena andare a Milano. Perché il piano del Premier di portare il cosiddetto scalpo del Jobs Act al vertice europeo su lavoro e occupazione non è riuscito.
Bagarre in aula e imprevisti a 5 Stelle hanno infatti ritardato il voto di fiducia al Senato sulla riforma da spiattellare sul grugno di Angela Merkel.
Riforma per modo dire: una legge delega è fatta di principi e linee guida generici su cui il governo dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) intervenire in pratica entro sei mesi dalla sua approvazione.
Approvazione per modo di dire: visto che si tratta di una prima lettura, in attesa che il tutto passi al vaglio della Camera dei deputati.
Al vaglio per modo dire: se è vero che di concreto o di effettivo il testo discusso a Palazzo Madama non ha niente. Per giunta è sparito nottetempo anche il riferimento esplicito all’articolo 18, casus belli di queste settimane.
La circostanza ha fatto pensare sulle prime a un passo indietro definitivo del Governo. Macché! In mattinata è giunta immediata la smentita: la fiducia al Senato è sull’articolo 18, anche se innominato. Possibile? A detta di alcuni, anche giuristi, sarebbe un arbitrio che viola la Costituzione toccare un aspetto non citato espressamente nella delega, ma solo evocato tra le righe per consentire la libera interpretazione di ciascuno.
Ed è in base a questa libera interpretazione di un testo bizantino che si svolgerà la battaglia prossima ventura sull’innominabile articolo, ma anche su tutto il resto della riforma.
Tempi lunghi, dunque, e dettagli incerti e tutti da definire nella sostanza. Eppure Renzi - salutando l’Italia femminile del volley e seguendo la logica comunicativa del cambiare nulla per raccontare che tutto cambia - ha detto che "stiamo portando a casa tutti i risultati". Forse si riferiva ai sondaggi su di sé.
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