«Per chi si dice di sinistra la difesa dell’articolo 18 è una questione di principio». E su questo principio, rivendicato con fiero cipiglio da Pierluigi Bersani, ieri è andato in scena l’ennesimo capolavoro mediatico di Matteo Renzi, vincitore assoluto in apparenza, malgrado le stilettate di Massimo D’Alema nel corso della Direzione del Pd (anzi, queste più sono pesanti, più diventano – anche quando sono pertinenti - un’arma a proprio favore, vista la reputazione del personaggio ormai inviso al genere umano di sinistra come un Berlusconi qualsiasi).
Così, al termine di una giornata estenuante, dove non si è fatto altro che parlare sui media di art. 18 e dello scontro nel Pd, la serata si è chiusa con una votazione quasi bulgara a favore della mozione renziana, dalla quale si evincerebbe il via libera all’abbattimento del totem.
Tuttavia, il diavolo si nasconde sempre nei particolari – come si usa dire. Infatti, la vittoria del premier, che avrebbe detto “li ho spianati”, nasconde (ma mica tanto) un sostanziale passo indietro, dato che dall’ordine del giorno approvato si parla di modifica della “…disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l'incertezza del procedimento giudiziario con l'indennizzo monetario, abolendo la possibilità di reintegro”.
Sui cosiddetti licenziamenti disciplinare viene lasciata invece la possibilità di reintegro se stabilito dal giudice, così come previsto dopo l’ultima revisione del governo Monti.
Conclusione: alla fine, fra il lusco e il brusco, sull’articolo 18 ben poco cambierà nella sostanza reale. Ma tant’è…
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