Anni e anni di giustizialismo forcaiolo e qualunquista ("Sono tutti uguali!"), e poi ecco che all'interno del Movimento 5 Stellequalcuno scopre improvvisamente la parola "garantismo". Lo fa, come sempre, cadendo in un circolo vizioso di inesorabili contraddizioni e, lungi dal voler avviare una riflessione seria sul tema, agendo esclusivamente per motivi politici interni (leggasi gli umori autoritari del capo-padrone Grillo).
In vista delle elezioni regionali del prossimo novembre in Emilia Romagna, infatti, l'attuale capogruppo della compagine consiliare pentastellata, Andrea Defranceschi, ha deciso di ricandidarsi alla presidenza della Regione, facendo esplodere l'ennesima baruffa all'interno del Movimento. Pomo della discordia, questa volta, è l'iscrizione nel registro degli indagati proprio di Defranceschi da parte della procura di Bologna nella cosiddetta inchiesta sulle "spese pazze" dei gruppi dell'assemblea legislativa (inchiesta che coinvolge tutti i partiti, dal Pd al Pdl).
Una situazione che collide con l'ultima regola tirata fuori dal cilindro di Grillo e che rischia di estromettere Defranceschi dalla corsa elettorale: "Al momento della candidatura e durante l’intero mandato − si legge sul blog dell'ex comico − il candidato non dovrà avere riportato condanne in sede penale né essere inquisito". Si tratta di una novità, dal momento che prima ad essere esclusi dalla selezione potevano essere solo i candidati con condanne penali a proprio carico, anche non definitive.
Una novità che, per molti, sarebbe stata concepita dalla premiata ditta Grillo-Casaleggio proprio per escludere Defranceschi dalle candidature; in un'area, come quella emiliano-romagnola, da sempre motore essenziale del movimento e, forse proprio per questo, al centro di innumerevoli conflitti (su tutti quelli sfociati in clamorose espulsioni: da Tavolazzi a Salsi, passando per Pirini, Poppi e l'acerrimo nemico Favia).
Ma se le tendenze personalistiche e padronali del vertice del M5S non costituiscono più ormai una notizia (così come la volontà di voler delegare, nella pratica, la compilazione delle liste direttamente ai magistrati − ed emblematico è stato in questo senso il messaggio rivolto da Grillo al Pd: "Ma un candidato non indagato e sconosciuto alle procure non ce l'avete?"), alquanto paradossali risultano essere le parole di diversi esponenti grillini, di colpo fautori di una linea garantista dopo anni di slogan manettari.
Ecco dunque l’eurodeputato Marco Affronte, che, indignato, dichiara: "Penso sia una regola pericolosa: essere indagati non significa nulla e si rischia che se un domani uno voglia far fuori un candidato, basta che presenti una denuncia anche inventata". Oppure la deputata Mara Mucci: "Essere indagato non è come essere condannato". O, ancora, la deputata Giulia Sarti: "Il punto è che spesso una persona non sa se è indagata o meno". Ben svegliati, direbbe qualcuno.
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