Uno scontro del genere, sotto gli occhi di tutti e all'interno di una delle procure più importanti d'Italia, probabilmente non si era mai visto. Le accuse del procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo nei confronti del suo capo Edmondo Bruti Liberati per presunte irregolarità nell'assegnazione dei fascicoli rischiano di determinare una spaccatura insanabile nella procura milanese, negli ultimi anni al centro della vita giudiziaria (e non solo) del nostro Paese.
Nei giorni scorsi Robledo ha presentato un esposto al Consiglio superiore della magistratura denunciando una serie di “non più episodici comportamenti” con i quali il procuratore capo Bruti Liberati avrebbe “turbato e turba la regolarità e la normale conduzione dell’ufficio”.
Secondo l’aggiunto, il suo capo avrebbe più volte violato le regole di specializzazione, assegnando i fascicoli più delicati ad altri due procuratori aggiunti di sua maggior fiducia (il capo dell’antimafia Ilda Boccassini e il capo del pool reati finanziari Francesco Greco), nonostante le ipotesi di reato fossero di competenza del dipartimento da lui diretto, quello che si occupa di delitti contro la pubblica amministrazione.
Sono diversi i fascicoli che, secondo Robledo, gli sarebbero stati sottratti pur rientrando nella competenza del suo dipartimento: dal caso Ruby a quello che riguarda Roberto Formigoni e il crac del San Raffaele, passando per il caso Sea ed un’altra inchiesta di tangenti. Indagine, quest’ultima, che ora si scopre essere quella relativa alla presunta truffa ai danni di Regione Lombardia che proprio ieri ha portato all’arresto di otto dipendenti di Infrastrutture Lombarde, la società che gestisce gli appalti per la Regione.
La vicenda della privatizzazione della Sea da parte del comune di Milano sarebbe quella più emblematica. In quel caso, infatti, – contesta Robledo – non solo il fascicolo sulla presunta turbativa d’asta messa in piedi dall’amministratore di F2i Vito Gamberale è stato affidato inizialmente a procuratori aggiunti non competenti, ma una volta compreso l’errore, Bruti Liberati ha trasmesso gli atti all’ufficio competente (quello di Robledo) con diversi mesi di ritardo, ad asta ormai avvenuta e con la possibilità quindi di realizzare intercettazioni già svanita.
E sarebbe stato lo stesso Bruti Liberati, come rivelato dal Corriere, ad aver confessato a Robledo di aver trattenuto il fascicolo nel proprio ufficio per tre mesi e mezzo a causa di una “deplorevole dimenticanza”: “Nell’imminenza della festività di S.Ambrogio/Immacolata, stante la chiusura festiva dei nostri uffici amministrativi, ho trattenuto il fascicolo nel mio ufficio. Purtroppo non avendo provveduto io alla riassegnazione immediatamente dopo il “ponte”, successivamente, per una mia deplorevole dimenticanza, il fascicolo è rimasto custodito nel mio ufficio”.
Una spiegazione che per taluni appare così parossistica da rendere ancor più ambigua la vicenda. Fatto sta che il conflitto tra Bruti Liberati e Robledo, che poi nella sostanza rappresenta anche uno scontro tra i due principali organi “politici” della magistratura, cioè, rispettivamente, Magistratura Democratica (la corrente di “sinistra” della quale il procuratore capo è esponente storico) e la moderata Magistratura Indipendente (alla quale il procuratore aggiunto “ribelle”, pur non essendo iscritto, fa riferimento), è finito nelle mani del Csm, che ha deciso di affidare l’esame del caso a due commissioni: la settima, competente sull’organizzazione di tribunali e procure, e la prima, che decide sui trasferimenti d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale dei magistrati.
Che esistessero tensioni di non poco conto all’interno della procura di Milano era un fatto più o meno noto, ma che queste avrebbero finito per far esplodere una diatriba di pubblico dominio costituiva uno sviluppo di difficile, se non impossibile, previsione.
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