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26/12/24 ore

La crisi dei 5 Stelle: Pizzarotti e i déjà-vu di Grillo


  • Ermes Antonucci

Quattro senatori espulsi e sette parlamentari dimissionari (di cui due alla Camera): è questo il risultato dell'ultima stretta verticistica di Beppe Grillo nella gestione del suo Movimento 5 Stelle. Come se non bastasse, ora, a finire nell'occhio del ciclone è anche Federico Pizzarotti, uno dei simboli del movimento, il primo grillino ad essere eletto come sindaco in un capoluogo di provincia, Parma, nel maggio del 2012.

 

Il pretesto utilizzato dal padre-padrone del M5S per disconoscere il primo cittadino di Parma è l’incontro con i sindaci e gli attivisti pentastellati organizzato dallo stesso Pizzarotti per il prossimo 15 marzo, in vista delle elezioni amministrative di maggio. Un incontro – l’ha definito Grillo su Twitter scaricando il suo ex pupillo – “non concordato in alcun modo con lo staff né con me”.

 

Un déjà-vu: Valentino Tavolazzi, consigliere comunale di Ferrara e primo espulso della storia del Movimento nel 2012, fu estromesso proprio per aver partecipato ad un incontro organizzato da un gruppo di attivisti grillini per discutere di vari temi inerenti al funzionamento e alle prospettive del progetto a 5 stelle. “Tavolazzi – scrisse Grillo epurando il ‘ribelle’ – ha frainteso lo spirito del M5S e ha violato il Non Statuto”.

 

Quale fosse il presunto articolo del Non Statuto violato da Tavolazzi, tuttavia, non fu mai compreso. E ora, due anni dopo, la storia si ripete. Alla base dello scontro con Pizzarotti, anche questa volta, sembra esserci molto di più di un semplice incontro non autorizzato.

 

Era stato appunto il sindaco parmense ad esprimere, dopo l’espulsione dei quattro senatori dissidenti, la propria amarezza verso una stretta autoritaria fuori controllo: “Non ho capito che cosa è stato commesso, e se ciò che è stato commesso riguarda la violazione precisa del vostro regolamento. È stata citata la sfiducia dei territori, ma senza documentare quali sono state le modalità delle deliberazioni, le motivazioni e i votanti. Per il resto mi guida un unico pensiero: sono convinto che il confronto sia molto più funzionale dello scontro”.

 

Più che per il suo attivismo, insomma, Pizzarotti sarebbe stato “scomunicato” per aver semplicemente messo in dubbio l’estremismo del proprio leader-guru. Tutto sarebbe partito, infatti, da una email collettiva inviata nei giorni scorsi da Pizzarotti a tutti i sindaci grillini (dallo stesso poi parzialmente smentita), in cui il primo cittadino della città ducale invitava a fare gruppo attorno ai senatori espulsi senza ragione.

 

Poche righe che avrebbero provocato l’ira di Grillo e la sua successiva bastonata nei confronti del sindaco di Parma. Pizzarotti o meno, comunque, appare ormai chiaro quanto il Movimento 5 Stelle sia vittima di una deriva politico-culturale antidemocratica ben più generale e profonda.

 

Dopo aver sbancato alle elezioni ed aver fatto l’ingresso in Parlamento con una compagine di semplici pedine raccattate qua e là per il Web in una forma solo apparentemente partecipativa, il duo Grillo-Casaleggio ha finito per mostrare inevitabilmente la matrice assolutista del proprio disegno politico.

 

Allergici a qualsiasi forma di dialettica democratica in nome della suprema compattezza interna – seppur comprensibile inizialmente, ora mero alibi per ogni genere di repressione del dissenso –, l’ex comico genovese e il suo “misterioso” braccio destro hanno improntato il governo della propria creatura politica sulla regola dell’unanimismo: o ti allinei o sei fuori.

 

Un modo di gestire le dinamiche politiche che non si limita alla sola tirannia della maggioranza – come la definiva John Stuart Mill (la cui lettura è più che mai consigliata agli esagitati grillini) –, bensì punta ad una totale sopraffazione delle minoranze e ad una loro diretta esclusione.

 

Un circolo vizioso non solo chiaramente antidemocratico, ma anche del tutto illogico. L’ovvio destino è quello tracciato dal neo-espulso Battista: “Grillo, resterete tu e Casaleggio”.

 

 


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