Torna a galla in modo preoccupante il doppiopesismo giustizialista di Matteo Renzi, ora che il responsabile Welfare della sua nuova segreteria, Davide Faraone, è finito nel vortice dell’indagine sulle spese pazze alla Regione Sicilia, assieme ad altri 82 ex deputati regionali.
Il neosegretario democratico, che tanto si era infervorato nel chiedere a suo tempo le dimissioni del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, coinvolta nel discusso quanto fumoso affaire Ligresti, questa volta ha deciso di indossare, di fronte al caso Faraone, la maschera del politico garantista, rifugiandosi in un silenzio tombale.
A lasciare perplessi non è tanto il mancato intervento del rottamatore fiorentino nella vicenda del responsabile Pd, la cui rilevanza giudiziaria è ancora tutta da verificare (ad essere contestate sono, comunque, spese per appena 3mila euro), bensì l’ambiguità con la quale Renzi sostiene ad intermittenza una concezione garantista dello stato di diritto, in base alla persona che si trova davanti.
La lampante contraddizione era emersa, appunto, già durante il caso Cancellieri. Mentre, infatti, l’allora aspirante segretario democratico chiedeva a gran voce le dimissioni della Guardasigilli per questioni di “opportunità politica” (nonostante non fosse neanche indagata), solidarietà e fiducia nella magistratura venivano espresse nei confronti del sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, fresco sostenitore della campagna renziana, indagato per la costruzione di un mega-complesso edilizio sul lungomare del capoluogo campano.
“Le dimissioni si chiedono ai condannati, non agli indagati”, dichiarò il sindaco di Firenze, dimenticando però di applicare lo stesso principio con la martoriata Cancellieri. Lo stesso paradosso etico si è ripresentato all’attenzione del confuso segretario Pd nelle ultime ore.
Se da un lato, infatti, Renzi ha scelto di non intromettersi nella vicenda che vede coinvolto Faraone, dall’altro non ha mancato di evocare le dimissioni del ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo, finita al centro di polemiche a causa di presunte pressioni da lei esercitate per gli appalti nella Asl di Benevento: “Josefa Idem si è dimessa dimostrando uno stile profondamente diverso”.
Il leader del Pd, insomma, non pare avere le idee molto chiare, o meglio, le ha, ma sembrano valere a seconda delle circostanze. La cosa non è sfuggita all’esuberante governatore della Sicilia Rosario Crocetta, che, proprio riferendosi al caso Faraone, ha ricordato a Renzi di aver chiesto in passato dimissioni per molto meno: “Il ministro della Giustizia Cancellieri non aveva commesso assolutamente nessun reato e secondo il Pd doveva essere sbattuta fuori, non aveva un’inchiesta giudiziaria ma aveva solo parlato con Ligresti, ergo...”.
Il segretario democratico, per ora, abbozza silenzioso. Nel frattempo, però, il doppiopesismo da lui mostrato in tema di moralità pubblica, e le contraddizioni da “vecchio” politico più volte manifestate sulla questione della riforma della giustizia (con quella imbarazzante “dimenticanza” dei referendum radicali), contribuiscono a far emergere un quadro piuttosto desolante dei propositi renziani in materia di giustizia.
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