In principio il benvenuto con L’isola che non c’è di Edoardo Bennato; sul finire il saluto con la celebre scena di Toto e Peppino a Milano, mentre domandano “per andare dove dobbiamo andare per dove dobbiamo andare?” a un vigile che risponde “al manicomio vi ci accompagno io”; in mezzo la frase di Sergio Marini della Coldiretti che si chiedeva se “anche noi non abbiamo bisogno di un trattamento sanitario obbligatorio, visto che qui dentro di partiti ce ne sono troppi”.
A voler essere impietosi, potrebbe essere questa la sintesi de In cammino per cambiare per “costruire il partito che non c’è”. Ma forse si è troppo severi a liquidare così l’incontro voluto da Fare per Fermare il declino (orfano di Oscar Giannino) e il Partito liberale Italiano, per chiamare a raccolta tutti i movimenti e partiti che più o meno si riconosco in un'area politica che non trova più spazio nel panorama politico italiano.
Sabato 14 dicembre, alla Residenza di Ripetta a Roma, in una sala gremita di persone attente e vogliose di rimettersi in gioco, numerosi oratori, rappresentanti della miriade di sigle aderenti, si sono alternati per quasi tre ore, moderati dal fin troppo loquace Antonello Piroso.
Tante belle parole sono state dette, quelle che siamo abituati a sentire ormai ovunque sul destino del Paese e sulle ricette per salvarlo: riduzione del debito pubblico, calo delle tasse, aiuto alle imprese, eliminazione dei privilegi e dei conflitti d’interesse, lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata…; e poi l’istruzione, la cultura, la scuola…. Il tutto condito con le classiche ricette liberali: concorrenza, privatizzazioni, merito.
Ma tra il dire e – appunto - il Fare c’è di mezzo comunque un cammino che subito si è dimostrato impervio, se è vero che gli organizzatori dell’evento sono inciampati al primo passo. Stefano De Luca del Partito liberale italiano nel suo intervento di chiusura non ha infatti nascosto un certo malumore per come è stata condotta la mattinata, dando pubblicità a un incidente diplomatico con Michele Boldrin di Fare per fermare il declino, avuto poco prima nell’antisala, su questioni legate ai troppi galli inseriti nel pollaio e agli “impresentabili” che occupavano impunemente la scena.
Ma al di là delle imbarazzanti beghe condominiali, chi ha assistito all’evento ha potuto cogliere i limiti e le contraddizioni di un’operazione ancora tutta da inventare, probabilmente legati al momento vissuto da chi fa politica, che oggi affannosamente ricerca la giusta alchimia per apparire la novità salvifica agli occhi dell’opinione pubblica ormai disincantata.
Non è un caso quindi che Boldrin abbia subito sottolineato l’idea “di un partito che vuole un’Italia che cresce”, prendendo le distanze da “questa classe politica che ha fallito”. E chissà se non ce l’avesse paradossalmente anche con qualcuno dei suoi compagni di strada: per esempio l’ex leghista Cè, ora alla guida di Uniti per il nord; oppure il sempreverde Bruno Tabacci, presente in sala; o il mal digerito Paolo Guzzanti. Per non parlare dello stesso De Luca, non proprio di primo pelo.
Proprio quest’ultimo ha con fiero cipiglio rivendicato la natura e il valore "antico" del suo partito e l’amore per la prima Repubblica, prendendosela col brutto andazzo dei ripetuti cambi di casacca dei cosiddetti “traditori”. A qualcuno in sala saranno fischiate le orecchie. Forse a Santo Versace? (Fra i più applauditi col suo demagogico intervento). Oppure allo stesso Paolo Guzzanti, che da sinistra a destra, passando per Craxi e Berlusconi, ha cambiato non poche volte idee? Di certo non a Corrado Passera.
Ancora neofita della politica, l’ex banchiere e già manager di stato oltre che ministro tecnico, non cambia casacca, al massimo la prova in camerino prima di svestirla, come con Scelta Civica. Ora pare interessato all'abito su misura dei liberali sparsi d’Italia. È stato così l’ospite d’onore alla Residenza di Ripetta. L’unico a parlare dal pulpito, oltre al parlamentare europeo uscente di Italia dei valori, Rinaldi (anch’egli in cerca, a proposito, di nuova casacca).
Un breve spot, quello di Passera, aspettando di capire se può diventare finalmente leader di qualcosa. L’impressione è che dovrà ancora attendere. La dinamica della giornata suggerisce infatti prudenza. Boldrin ha ammesso errori in stile italiano e comportamenti poco svizzeri. “Ci pensavamo da tempo, ci siamo organizzati male negli ultimi tre giorni” - ha detto, invitando i militanti a ripartire, a riorganizzarsi, in nome di quel partito che non vuole essere collocato a destra, tanto meno a sinistra, ma “altrove”.
Ecco, altrove: a qualcuno la tentazione di andarci sarà venuta davvero, dopo questo sabato mattina tutto italiano.
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