“L’Italia è il paese che amo”: è nelle celebri parole con cui Silvio Berlusconi annunciò la sua discesa in campo che è possibile rintracciare le ragioni storico-politiche dell’avvento e poi del successo del “berlusconismo”. Questa è la tesi di fondo del libro “Il berlusconismo nella storia d’Italia” (Marsilio, 239 p., € 19,50), scritto da Giovanni Orsina, professore di storia contemporanea alla Luiss, intervistato da Agenzia Radicale.
Il segreto del ventennio berlusconiano, infatti, secondo Orsina, risiederebbe proprio in quell’apologia della società civile italiana così netta e chiara: “Gli italiani vanno benissimo così come sono, e non devono essere cambiati”. Un approccio rivoluzionario (e vincente), che è andato a collidere con quella forte e radicata “tradizione ortopedica-pedagogica” – mostrata sin dai partiti ottocenteschi – fondata sull’idea che “gli italiani non vadano bene e che debbano essere cambiati dalla politica”, cioè da un’illuminata élite partitica.
Di fronte al fenomeno berlusconiano, tuttavia, il centrosinistra è stato in grado di rispondere solo con un anti-berlusconismo, giustizialista e subalterno ad alcuni organi giudiziari. Rifugiandosi, in maniera molto superficiale, dietro lo stereotipo dell’elettore berlusconiano (irrazionale, scarsamente intelligente, immorale) e manifestando una presunta superiorità morale del proprio elettorato, “come se i milioni di persone che hanno votato Berlusconi per tanti anni siano tutti cretini ed ignoranti”.
“Ma non si sta sulla scena politica per 20 anni – sottolinea Orsina – se non si ha qualcosa di politico da comunicare, se non si ha un rapporto con l’elettorato più profondo di quello che uno possa immaginare”. Un particolare che il centrosinistra, nelle sue vesti partitiche ed intellettuali, “non ha saputo, e voluto, comprendere”.
E alla base di questo fallimento si cela proprio ciò che abbiamo definito la questione liberale, vale a dire l’assenza di una reale componente liberale nel centrosinistra. Un punto evidenziato da Orsina: “Tutti quei temi che Berlusconi ha messo sul tappeto, e che sono temi liberali (rapporto fra politica e giustizia, bipolarismo, riforma della costituzione, ruolo dello stato ecc.), sono stati respinti in gran parte dalla sinistra su base pregiudiziale: noi non possiamo fare questo perché lo dice Berlusconi. La sinistra ha perso una grandissima battaglia su questi terreni, e ne ha pagato dei prezzi pesantissimi”.
Nonostante le tribolazioni degli ultimi mesi, secondo Orsina “dire che Berlusconi sia finito è ancora azzardato, ma dire che stia finendo no: sta finendo già da un pezzo, è una fine molto lenta e lunga” (legata non alle vicende giudiziarie, ma alla mancata realizzazione delle promesse di governo). Ciò che è possibile affermare, tuttavia, è che “la lentezza di questo declino è direttamente proporzionale alla debolezza degli avversari: Berlusconi sarebbe finito nel 2006, se avessimo avuto una sinistra presentabile”.
Infine un riferimento al fenomeno del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che pur condividendo alcuni punti di fondo del berlusconismo (l’apologia della società civile, il rifiuto delle élite partitiche, l’assenza di mediazione) appare molto ambiguo in relazione alla distinzione destra-sinistra.
- Guarda l’intervista a Giovanni Orsina (Agenzia Radicale Video)
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