Ad indicare la “Via maestra” da percorrere, più che la Costituzione ieri ci hanno pensato i promotori della manifestazione: Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Libertà e Giustizia, Fattoquotidiano. E a far da cornice all’abituale recita dei moniti da parte della suprema classe intellettuale di sinistra, anche questa volta, c’era una piazza del Popolo gremita, e colorata di bandiere (da Fiom a Rifondazione, passando per l’Italia dei Valori, gli ingroiani, le Agende rosse, i No Tav/Muos).
La bordata del giorno, contro il governo Letta, alla fine è giunta proprio dal nuovo punto di riferimento del movimentismo di sinistra, Stefano Rodotà: “La Costituzione è stata sequestrata. E' stata data una versione efficientistica della sua revisione. Al presidente del Consiglio Enrico Letta voglio dire: usi parole di verità. Le sue parole sono state tra la denigrazione ed il terrorismo ideologico”.
Frasi non tenere, ma prima di lui ci aveva pensato Gustavo Zagrebelsky – presidente onorario di Libertà e Giustizia – a far scaldare la platea, accusando il governo e il presidente della Repubblica di aver messo in moto “una macchina per cambiare la Costituzione”, salvo poi richiamare alla moderazione la piazza che, al nome di Napolitano, aveva cominciato già a rumoreggiare.
Un’altra frecciatina è arrivata da Giovanni Valentini, ma questa volta nei confronti di Beppe Grillo, al quale il giornalista ha detto di voler dedicare l’art. 67 della Carta (sul divieto di mandato imperativo), a dir poco osteggiato, nella teoria e nella pratica, dal leader del M5S.
Il cavallo di battaglia della manifestazione, infatti, non era l’ex comico genovese ma – forte di una vastissima raccolta firme in difesa della Costituzione – il Fatto Quotidiano. Il direttore Antonio Padellaro, così, salito sul palco al fianco del suo vice Marco Travaglio, ha espresso nostalgia per il “grande presidente” Sandro Pertini (ormai tirato in ballo ad ogni occasione) e ha ribadito l’obiettivo di raggiungere le 500mila firme nella sottoscrizione. Per farci cosa, poi, in realtà ancora non si sa.
Altro intervento applauditissimo è stato quello di Maurizio Landini. Il leader della Fiom si è detto fiero di voler conservare “qualcosa di bello” come la Costituzione ma allo stesso tempo, con la stessa fierezza, ha affermato di essere il primo a voler cambiare il Paese, manifestando una contraddizione enorme agli occhi di chi, senza stravolgere la carta costituzionale, vorrebbe aggiornarla proprio perché attualmente rappresenta un freno ai tentativi di cambiamento che l’Italia necessiterebbe.
Lo show è proseguito, con la lettura degli articoli della Costituzione “più bella del mondo”, anche se tra questi – a voler essere proprio rigorosi – si avvertiva, di fronte all’emergenza carceraria tornata d’attualità negli ultimi giorni, la mancanza del numero 27, quello per il quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Ci ha provato Landini ad accennare alla questione, raccontando di aver visitato il carcere di Rebibbia e di esserne stato profondamente colpito.
Ma dopo aver scartato le ipotesi di amnistia o indulto, il leader della Fiom ha individuato nella carcerazione preventiva il virus da estirpare e nelle leggi Bossi-Fini (sull’immigrazione) e Fini-Giovanardi (sul consumo di droghe) le bestialità legislative da cancellare. Un monito che è giunto, come quello di Rodotà, alcune settimane dopo che la raccolta firme per i referendum radicali (tra cui proprio l’abolizione della Bossi-Fini) è terminata nel silenzio generale, compreso quello di chi ora si indigna sul palco di un comizio.
Contraddizioni palesi, proprie di una cultura della mobilitazione permanente, strumentale e fine a sé stessa, che ormai riesce a trovare spazio anche nelle nuove generazioni. Ed è così che una bambina, alla vista di un piccolo gruppo di giovani “marziani” inneggianti all’amnistia, oggi ha con perplessità guardato negli occhi suo padre e chiesto: “Ma quelli dell’amnistia non erano di destra?”.
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