Appare del tutto pretestuosa, sterile, e a tratti anche ridicola, la polemica lanciata ieri sull’Huffington Post da Elisabetta Addis – economista tra le fondatrici del movimento femminista “Se non ora quando” – contro le parole utilizzate da Papa Bergoglio nell’ormai famosa lettera inviata a Repubblica martedì scorso.
Addis ha definito il linguaggio utilizzato dal Pontefice nella lettera “sessista”, poiché questo rifletterebbe quello spirito maschilista che la economista starebbe cercando di combattere attraverso la sua associazione: “Bella lettera Bergoglio. Ma a me, non mi riguarda. Dice infatti che riguarda ‘il rapporto che Egli (Gesù) ha con Dio che è Abbà, e in questa luce al rapporto che ha con tutti gli altri uomini’. E io sono una donna”. “’In lui tutti siamo chiamati a essere figli’ e io al massimo posso essere una figlia – ha proseguito Addis –, ‘fratelli tra noi’, ma di sorelle, non si ha sentore. E ancora, che ‘l'amore e misericordia di Dio raggiungono tutti gli uomini’. Ma non le donne”.
Insomma “uomini”, “figli”, “fratelli”: secondo Addis l’impronta della lettera sarebbe quella del più becero dominatore maschio italiano: “Dato che costa ben poco sostituire ‘uomo’ con ‘essere umano’ e ‘uomini’ con ‘uomini e donne’, interpreto che ci sia una chiara volontà, da parte di un vecchio maschio a capo di una gerarchia di soli maschi, di farmi intendere che non è a me che si rivolge”.
Di fronte a questa analisi, risulta addirittura quasi superfluo notare che – da qualunque lato lo si guardi – l’impiego della parola “uomini” da parte di Papa Francesco tende a riferirsi all’essere umano in generale, e non all’uomo inteso in senso maschile, e che dunque andare a cercare in essa lo spunto per una polemica di stampo femminista appare quantomeno una forzatura, oltre che lessicale, intellettuale.
Questa pretestuosa polemica, tuttavia, permette anche di tornare sul senso della “battaglia” femminista condotta da “Se non ora quando”. Un movimento che, lo ricordiamo, è balzato agli onori della cronaca con la manifestazione tenutasi il 13 febbraio 2011 per protestare contro l’immagine della donna-oggetto che era emersa dallo scandalo bunga-bunga riguardante l’ex premier Silvio Berlusconi.
Già in quella occasione erano emerse non poche ambiguità sulla linea politica seguita da “Se non ora quando”, dal momento che si personificava un tradizionale ritardo culturale della società italiana – quello relativo al ruolo della donna e alla sua piena emancipazione – nella figura di Silvio Berlusconi. Seguendo lo stereotipato copione che individua nella spregiudicatezza delle trasmissioni Mediaset la causa della degradazione e mercificazione femminile, e non – invece – la manifestazione di un’immaturità culturale di tipo strutturale, già preesistente nella nostra società.
La battaglia di “Se non ora quando”, in questo modo, tendeva a ribaltare completamente le premesse nelle quali si innestava, quelle cioè di liberazione della donna piuttosto che di restringimento della sua libertà sessuale. Un corto circuito manifestato in modo palese dalla partecipazione alla nota manifestazione del 2011 dell’applauditissima suor Eugenia Bonetti, simbolo con la sua veste del conservatorismo religioso e morale.
“Neopuritanesimo ipocrita” lo definì a suo tempo Giuliano Ferrara in una contro-manifestazione. Femminismo di dubbia utilità, lo definiremmo oggi, dopo le parole di Addis.
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