Nel numero 109 di Quaderni Radicali, uscito in questi giorni, Emanuel Macaluso si pronuncia sullo stato di crisi del Partito democratico, aspettando il congresso d'autunno.
- Il congresso del Pd si avvicina. Da un lato non mancano proposte, idee, prospettive: dal contributo di Fabrizio Barca alle posizioni di Matteo Renzi, dalla disponibilità di Sergio Chiamparino fino al proposito, sostenuto ad esempio da Stefano Fassina e riemerso con la segreteria Epifani, di dar vita a un soggetto laburista. Perché, però, finora non si riesce ad avere un dibattito interno chiaro e trasparente fra linee alternative, e si tende piuttosto alla giustapposizione o alla confusione? -
La ragione io la individuo nel fatto che il Pd non presenta al suo interno la dialettica che, quando nacque, si pensava che potesse avere: ad esempio fra laici e socialisti provenienti dai Ds e cattolici ed ex democristiani provenienti dalla Margherita. Un confronto vero forse non c’è mai stato.
Il Pd nacque con una sorta di fusione a freddo, come un aggregato più che come un partito. Non ha mai avuto una sua base politico-culturale. Invece sono via via cresciute più che correnti di pensiero, con una vera caratura politica, delle cordate, degli aggregati, intorno a delle persone. Ciò non solo al “centro”, bensì anche nelle strutture delle regioni, delle province, dei comuni. E le alleanze si sono fatte sulla base di incontri attorno alla gestione di tali strutture, non sulla base di scelte politico-culturali, di indirizzi, quali quelli a cui tu accennavi.
Oggi è questa la questione che si pone in vista del congresso. Riuscirà il Pd a superare tali aggregati privi di valenza politica e di indirizzo generale per fare delle correnti vere, con piattaforme politiche alternative, in una dialettica civile e democratica, e con un dibattito che possa coinvolgere davvero gli iscritti e la pubblica opinione di fronte a scelte che di certo riguardano anche il futuro del Paese? Io ne dubito.
- Alcuni sostengono che, nonostante tutto, il Pd sia destinato a durare a lungo. Altri temono lo smembramento, l’implosione o la frantumazione. Per altri ancora, poi, di fatto esso sarebbe già morto. Che ne pensa? -
Che non sia morto lo dimostrano le ultime elezioni amministrative. Il Pd non è morto. Esso è, come dicevo, un aggregato politico-elettorale. Del resto nemmeno la destra è un partito. Quello è un aggregato personale; è un aggregato di interessi, di gruppi, di persone, di “emigrati” di tante culture politiche attorno agli interessi e alle scelte sempre a metà fra la politica e interessi di natura personale.
Io credo che il male dell’Italia oggi sia questo: non ci sono partiti. Certo, il Pd, per così dire, è “più partito”, in quanto non c’è un padrone. A destra c’è un padrone. La questione è molto seria da questo punto di vista. Il Pd non è morto: esso inevitabilmente assolve a un ruolo. Se si vuole impedire che l’Italia cada in mano a questa destra l’unica forza che abbia una sua consistenza è il Pd e tutti i componenti di tale partito capiscono che in caso di scissione si perderebbe questa prerogativa.
Come forza consistente il Pd ha una capacità alternativa alla destra. Se esso si frantuma nessuno avrà più capacità alternativa. Non credo che vi saranno delle scissioni, perché sarebbe veramente un suicidio. Credo che questo partito avrà travagli profondi e molte difficoltà a trovare un approdo.
Non ho mai aderito al Pd e anzi l’ho criticato fin dalla sua nascita, però credo che la sua crisi rovinosa sarebbe una grave sconfitta di tutte le forze del centrosinistra. Nel centrosinistra, oltre al Pd, ci sono solo piccole formazioni prive di consistenza e di una politica di governo. Perciò mi sono sempre augurato una crisi virtuosa del Pd, che lo possa spingere verso un approdo caratterizzato da una base politico-culturale associabile a quella che oggi si ritrova nei partiti socialisti europei...
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