Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

30/12/24 ore

Giudici in politica: i vertici della Magistratura hanno smesso di dormire


  • Ermes Antonucci

 Oltre alla gravissima situazione carceraria e all’immobilismo della macchina della giustizia, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario l’attenzione del mondo della magistratura si è soffermata anche su altri due temi scottanti, strettamente connessi tra loro: il protagonismo di alcune toghe e i rapporti con la politica.

 

Dopo le discese in campo dell’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dell’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, la questione delle regole per i giudici che entrano in politica è stata sollevata da più parti.

 

Nelle ultime ore un vero e proprio coro di moniti e richiami è stato sollevato dai principali rappresentanti della magistratura. Ieri il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo ha auspicato l’introduzione di “una disciplina più rigorosa sulla partecipazione dei magistrati in politica”, una riforma che “in decenni il legislatore non è riuscito ad approvare”.

 

Queste parole sono state condivise dal procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani, per il quale “quando i magistrati scelgono la diretta partecipazione alla competizione politica non è agevole sottrarsi alle critiche di chi lamenta la strumentalizzazione della funzione giudiziaria”.

 

Parallelamente, una certa insofferenza è stata espressa anche dal vicepresidente del Csm Michele Vietti che, nel decalogo di proposte suggerite alla politica, ha citato proprio “la riforma del sistema delle incompatibilità per i magistrati che si candidano per garantire la imparzialità dell’istituzione”.

 

Oggi il presidente della Corte d’Appello di Roma Giorgio Santacroce, dopo aver affermato di non trovare “nulla da eccepire sui magistrati che abbandonano la toga per candidarsi alle elezioni politiche”, non ha esitato a manifestare le proprie perplessità sull’avvicendamento tra giustizia e politica: “Piero Calamandrei diceva che quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra. Come dire che i giudici, oltre che essere imparziali, devono anche apparire imparziali”.

 

Lungi dal riconoscere in modo aprioristico il diritto dei magistrati a candidarsi, Santacroce non ha solo espresso tutti i suoi dubbi sulla politicizzazione che da tempo interessa determinate fette della magistratura, ma ha anche lanciato una stoccata ad alcuni suoi colleghi: “Non mi piacciono i magistrati che non si accontentano di far bene il loro lavoro, ma si propongono di redimere il mondo. Quei magistrati, pochissimi per fortuna, che sono convinti che la spada della giustizia sia sempre senza fodero, pronta a colpire o a raddrizzare le schiene”.

 

“Dicono di essere impegnati ad applicare solo la legge – ha proseguito Santacroce – senza guardare in faccia nessuno, ma intanto parlano molto di sé e del loro operato anche fuori dalle aule giudiziarie, esponendosi mediaticamente, senza rendersi conto che per dimostrare quell’imparzialità che è la sola nostra divisa, non bastano frasi ad effetto, intrise di una retorica all'acqua di rose. Certe debolezze non rendono affatto il magistrato più umano”.

 

Anche dal presidente della Corte d’Appello di Palermo Vincenzo Oliveri è giunto un vago altolà ai magistrati in politica: “Il magistrato non deve dimostrare alcun assunto, non certo quello di avere il coraggio di 'toccare i potenti' anche contravvenendo a regole inderogabili. Né può considerarsi chiamato a colpire il malcostume politico che non si traduca in condotte penalmente rilevanti. La sola, alta missione da assolvere è quella di applicare e fare rispettare le leggi”.

 

Ciò su cui Oliveri ha tenuto a riflettere in modo particolare è la necessità di contenere il protagonismo della giustizia e la sovraesposizione mediatica: “Noi magistrati dobbiamo capire che è arrivato il momento di modificare molti dei nostri atteggiamenti. La comunità nazionale e internazionale ci scruta, stigmatizzando l’enfasi mediatica che viene data a certi provvedimenti, la sovraesposizione e i protagonismi di alcuni costantemente presenti in talk show televisivi dove disquisiscono di processi in corso”.

 

Un avvertimento ai magistrati-politici è giunto anche dal presidente della Corte d’Appello di Genova Mario Torti: “Il comportamento di quei magistrati che, dopo aver acquisito notorietà in campo professionale, magari con esposizioni mediatiche non proprio misurate, lasciano temporaneamente la toga per questo o quel partito politico è un’anomalia e per lo più non è valutato positivamente”.


Aggiungi commento