Da un’urgente riforma del sistema Giustizia non si può più prescindere. Sembra esserne convinto anche il primo presidente di Cassazione Ernesto Lupo che, intervenendo all’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha voluto sottolineare quanto sia necessario che nel prossimo Parlamento si faccia ogni sforzo “alla ricerca di intese, come in tutti i paesi democratici quando si tratti di ridefinire regole e assetti istituzionali».
Sono molti i fronti su cui intervenire, infatti, per porre rimedio a un sistema che come conseguenza ultima produce “la perdurante drammaticità della situazione carceraria…:il sovraffollamento degli istituti detentivi; le condizioni di vita degradanti; i tanti suicidi in carcere, sintomo estremo di un'inaccettabile sofferenza esistenziale".
"La recentissima sentenza di condanna della Corte europea dei diritti umani (ricorso Torreggiani c/Italia)...prescrive allo Stato italiano di adottare, entro un anno, misure individuali e generali necessarie a ovviare alla violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti", ammonisce Lupo.
"La Corte europea - spiega Lupo - ha richiamato le raccomandazioni del Comitato dei Ministri che invitano non soltanto gli Stati, ma anche ciascun pubblico ministero e ciascun giudice, a ricorrere il più ampiamente possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro azione in materia penale verso un minor ricorso alla detenzione, anche allo scopo di ridurre la crescita della popolazione carceraria".
"Occorre rilanciare su questi temi l'impegno e la responsabilità di tutti gli organi giudiziari, senza limitarci a sollecitare l'azione del Governo e del Parlamento", esorta Lupo.
"I giudici di merito - prosegue il Primo presidente, che è un 'oppositore’ della carcerazione preventiva in assenza di condanna definitiva - devono adeguare le scelte e le decisioni in tema di libertà ai principi di proporzionalità e di adeguatezza, tenendo a mente che essi operano come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso".
"Si impone, cioè, una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale", sottolinea Lupo.
Della relazione di Lupo vale la pena sottolineare alcuni altri passaggi, a partire dall’urgenza di procedere a uno «sfoltimento delle fattispecie di reato, che secondo una indicazione di fonte non ufficiale (il Rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muizniek, dello scorso 19 settembre) raggiungono l’incredibile numero di 35 mila, che anno dopo anno si accresce, rappresenta un obiettivo non eludibile».
Il primo Presidente di cassazione non ha mancato poi di menzionare la necessità di introdurre il reato di tortura perché «ce lo chiede non solo la Corte europea dei diritti umani, ma anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, l’Onu, e anche i principi ricavabili dalla nostra Costituzione». «il reato - osserva Lupo - non è però stato introdotto, non essendo i relativi disegni sfociati in legge; mentre le fattispecie penali applicabili (maltrattamenti abusi di mezzi di autorità, abuso dei mezzi di correzione o disciplina, lesioni personali), sono lontane dal corrispondere alle condotte di particolare gravità riconducibili alla nozione di tortura e non assicurano nel concreto, considerati anche i termini di prescrizione, effettività della risposta sanzionatoria».
In proposito, Lupo rileva che nella sentenza della Cassazione sul sanguinoso blitz della polizia nella scuola Diaz, durante il G8 di Genova, «pur riconoscendosi l’assoluta gravità delle condotte violente poste in essere dalla polizia, si è ritenuto che alla intervenuta prescrizione dei reati non potesse porre rimedio neppure la proposizione di una questione di costituzionalità, ostando alla rilevanza della questione nel giudizio in esame il principio della irretroattività della legge penale più severa».
L’ultimo eclatante caso di un giudice che smette la toga e si candida rappresentato dal guatemalteco Antonio Ingroia, avrà probabilmente ispirato Lupo nella richiesta di una legge per i giudici in politica. Secondo il giudice di cassazione serve una legge per regolamentare e limitare la discesa in politica dei magistrati - almeno nei distretti dove hanno esercitato le loro funzioni - per evitare che nell’opinione pubblica venga meno la considerazione per i giudici.
In mancanza di un intervento normativo dovranno essere gli stessi magistrati a darsi delle regole nel loro Codice etico. "Sulla nuova dimensione dei doveri - sottolinea Lupo - sarà nuovamente chiamato a riflettere l'associazionismo giudiziario, quando dovrà aggiornare il Codice etico dei giudici italiani, il primo adottato in un Paese europeo (1994), confrontandosi con le rinnovate tensioni e le più acuite sensibilità diffuse nell'attuale società italiana, in tema di imparzialità o in materia di partecipazione dei magistrati alla vita politico-parlamentare, verso comportamenti, prese di posizione, scelte individuali, pur formalmente legittimi, ma che hanno ricadute pubbliche che rischiano di coinvolgere la stessa credibilità della giurisdizione".
"È auspicabile - , conclude Lupo - che in tale occasione, nella perdurante carenza della legge, sia introdotta attraverso il codice etico quella disciplina più rigorosa, da tante parti anche recentemente auspicata, sulla partecipazione dei magistrati alla vita politica e parlamentare, che in decenni il legislatore non è riuscito ad approvare, nonostante l'evidente necessità d'impedire almeno candidature nei luoghi in cui è stata esercitata l'attività giudiziaria e di inibire il rientro, a cessazione del mandato parlamentare, nel luogo in cui si è stati eletti".
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