Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

27/12/24 ore

L’effetto semi-presidenziale del Governo Monti



 

La fine della legislatura porta con sé la fine del Governo tecnico timbrato Mario Monti. Quindi, è tempo di bilanci. Nei fatti il prodotto più evidente del Governo dei tecnici è stato quello di imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica eclissando definitivamente il berlusconismo e l’anti-berlusconismo.

 

Ora il tema è “l’agenda Monti” e chi vi si oppone. Berlusconi potrà occupare le Tv fin che vuole ma è chiaro che il suo tentativo sarà perdente. Non è più la sua persona al centro del dibattito politico. Vedremo cosa accadrà. Ma è facile intuire che si vedranno nuovi partiti e vecchi “vizzi”.

 

Comunque la si pensi sui risultati del Governo Monti va sottolineato l’effetto che questa esperienza ha avuto nella prassi politico-istituzionale fin dalla sua nascita e i rischi che tale prassi lascia per il futuro.

 

In primo luogo, il Governo tecnico è nato per volontà del Capo dello Stato Napolitano il quale ha indicato con anticipo il Presidente del Consiglio nella persona di Mario Monti nominandolo Senatore a vita. Già questo aspetto potrebbe sollevare qualche dubbio sulla condotta di un Presidente della Repubblica che valuta autonomamente la stabilità dell’esecutivo in carica e procede utilizzando il suo potere di nomina per appoggiare direttamente una persona da incaricare a Capo dell’esecutivo successivo.

 

Non si sta valutando l’opportunità della scelta, che sembra ampiamente giustificata dalla prova di indecenza offerta dal Governo Berlusconi, ma occorre riflettere sul fatto che il Capo dello Stato si sia spinto oltre le sue effettive competenze di garante dell’ordine costituzionale. Sfruttando la debolezza di un Parlamento composto da partiti in evidente declino e da timori di un collasso finanziario del Paese, Napolitano ha imposto non solo il Capo di un esecutivo ma ne ha creato anche l’appoggio parlamentare.

 

In secondo luogo, il risultato di questa discutibile operazione politica ha prodotto un “Governo del Presidente” ovvero un esecutivo che è stato investito della fiducia del Capo dello Stato più che di quella del Parlamento. Certo i partiti hanno accettato, in molti casi a malincuore, la fiducia all’esecutivo tecnico. Tuttavia è stato chiaro fin dall’inizio che l’esecutivo fosse nato per volontà del Presidente della Repubblica e che i partiti non avrebbero potuto sfiduciarlo senza rischiare il voto anticipato.

 

Un’eventualità, quest’ultima, molto rischiosa per molti di essi. Si è quindi prodotto un Governo a doppia fiducia simile a quelli semi-presidenziali della Francia pre-riforma. Una sorta di coabitazione tecnica in cui l’esecutivo si è confrontato con una maggioranza solo formalmente in suo appoggio. Ciò ha permesso l’adozione di politiche molto impopolari (forse necessarie, ma questo è più complesso da stabilire) il cui peso ricadesse sulle spalle di un Governo “d’emergenza”.

 

Il messaggio di quasi tutti i partiti è stato molto semplice. “Votiamo la fiducia al Governo ma noi avremmo fatto scelte diverse.”  Una dichiarazione di impotenza e irresponsabilità di una classe dirigente sempre pronta a rinunciare al peso che comporta la responsabilità. Tutto ciò è andato avanti per un anno fino a che i partiti si sono ripresi in mano il gioco ed ora chiedono un nuovo rito elettorale per essere legittimati a continuare come se nulla fosse accaduto.

 

Il ricambio delle persone che da molte parti si è levato (primarie, parlamentarie ecc…) cambierà le persone ma non il sistema. L’esecutivo che verrà, qualunque esso sia, vedrà consolidarsi una prassi interventista del Capo dello Stato. In questo contesto si possono produrre due ipotesi entrambe molto rischiose.

 

Se, come sembra, sarà proprio Monti a ricoprire la carica di Capo dello Stato rinunciando a concorrere per un Monti-Bis, l’esecutivo risulterà fortemente compresso nella sua autonomia da parte della Presidenza della Repubblica da un lato e dall’altra da un Parlamento i cui numeri potrebbero dare maggioranze instabili.

Se invece Monti decidesse di candidarsi, i numeri darebbero maggioranze fortemente instabili soprattutto al Senato creando le condizioni per un accordo post-elettorale che indebolirà la già confusa linea programmatica delle coalizioni in campo.

 

Non è invidiabile chi dovrà prendersi l’incarico di presiedere il prossimo Governo, le maggioranze che appoggeranno l’esecutivo potrebbero uscirne fortemente logorate creando le condizioni per l’ennesima legislatura interrotta. In tutto questo disastro istituzionale il Paese continua, sempre meno lentamente, a sprofondare.

 

Zeno Gobetti



Aggiungi commento