Nei giorni della sbornia olimpica, è diventato un fastidioso contorno, a metà fra sport e cronaca, la notizia che vede protagonista, in negativo, Antonio Conte. Coinvolto nell’ennesima brutta vicenda di calcioscommesse, l'allenatore della Juventus deve rispondere di omessa denuncia di presunte combine su due partite della stagione 2010/11 quando era tecnico del Siena.
In pratica, secondo l’accusa, egli sapeva e ha taciuto. Per tale comportamento rischia una squalifica non eccessiva, ma comunque pesante. Gli avvocati difensori hanno consigliato, nonostante la professione di innocenza, il male minore: il patteggiamento. Grazie al quale scatterebbero 3 mesi di squalifica: pochi, maledetti e subito; e tanti saluti.
Il motivo di questa scelta è presto detto: il processo sportivo non dà tempo e modi per difendersi; meglio quindi scendere a compromessi con quello che in sostanza viene considerato un sistema di giustizia sommaria.
La tesi ovviamente non convince del tutto. Il patteggiamento, di istituzione relativamente recente, viene ritenuto a torto o a ragione ancora e solo un’ammissione di colpevolezza. Sarà quindi difficile per Conte togliersi di dosso la macchia di fronte all'opinione pubblica. Meglio quindi sarebbe affrontare il processo e lottare per far valere, se c’è, la propria estraneità ai fatti contestati.
In tal caso, si potrebbe trasformare il tutto anche in una valorosa e nobile battaglia di principio, con protagonisti l’allenatore fresco scudettato e la squadra di calcio più blasonata d’Italia, per cambiare un sistema di giustizia ingiusta.
Ma le cose a quanto pare non andranno così. Proprio per questo i Conte non tornano.