L'infartuante partita di ieri tra Italia e Francia ha scritto i capitoli di una storia rugbystica di cui, tra 50/60 anni, mi potrò vantare con i nipoti: dopo le incredibili prestazioni contro i mostruosi Tutti Neri e i Cangurotti australiani nel novembre scorso, le speranze di vedere un 6Nazioni azzurro competitivo c'erano tutte, ma questa mattina l'ovale italiano può svegliarsi consapevole di un fatto ben preciso: quest'anno si gioca sempre per vincere.
Quel 23-18 segnato sul tabellone dell'Olimpico è un risultato che racchiude in se 80 minuti di battaglie, tutte vinte dagli azzurri che non hanno sbagliato pressocchè nulla (touche permettendo, sulle quali occorre lavorare ancora molto) e che hanno trovato la quadratura del cerchio nel collegamento tra mischia e trequarti, fino all'anno scorso non fluido come abbiamo potuto vedere in novembre e, magistralmente, ieri.
Luciano Orquera, il mediano di apertura degli Azzurri, si è ben meritato l'onore di "Man of the match", non avendo sbagliato nulla al piede, avendo distribuito palloni di qualità e ispirato le due mete italiane (il riciclo di palla che ha propiziato la seconda meta di Castrogiovanni è da manuale del rugby).
Il primo capitolo della meravigliosa favola italiana è stato scritto sabato 2 febbraio sul fangoso campo di Rovato (Bs), con la vittoria, nel Sei Nazioni femminile, delle rugbyste azzurre sulle cugine francesi per 13-12: una vittoria non di misura ma certamente di cuore ed orgoglio, che porta le ragazze ovali sul tetto dell'Europa del rugby: "Un risultato che fa la storia contro una squadra ultraquotata. Sono davvero felice per le ragazze perchè hanno lavorato sodo, impegnandosi al massimo" ha dichiarato il tecnico aquilano Andrea di Giandomenico, quasi invitando i maschietti a cercare di assaporare quella vittoria contro la Francia che, proprio perchè tale, vale almeno il doppio nei cuori italiani.
Il secondo capitolo si è scritto a Roma domenica 3 febbraio alle 10 del mattino, presso il Salone d'onore del Coni, a Roma; il riconoscimento della storia rugbystica italiana, emozionante come solo poche cose nella vita: la prima pagina dei "caps" azzurri nel rugby.
In questo sport il "cap" è la presenza di un giocatore in una squadra nazionale: ancora oggi in tutto il mondo la tradizione ovale vuole la consegna di un berretto (il "cap" appunto) a chiunque entri in campo, almeno una volta, con la maglia della propria nazionale; in Italia questa tradizione non è mai esistita, ma la Federazione Rugby ha deciso di istituirla con la consegna, per la prima volta, di oltre 400 cap ad altrettanti ex giocatori, alcuni dei quali non si incontravano da 50 anni: il brivido di vedere vecchi (e meno vecchi) rugbysti emozionati che vedono riconosciuto il loro valore, il loro merito, l'onore con cui hanno vestito la gloriosa maglia azzurra, portando questo sport nel cuore azzurro dei calciofili italiani, è incomparabile.
Il terzo capitolo è un crescendo rossiniano, scritto alle ore 16:02 di domenica 3 febbraio 2013: sul campo dell'Olimpico i veterani Azzurri con berretto in testa e il nostro XV schierato davanti a 60mila spettatori cantano all'unisono, nell'assordante catino romano, un inno di Mameli che ha fatto tremare tutto l'Appennino, fin su al confine di Ventimiglia, quasi ad avvisare i francesi che no, non c'era trippa per gatti.
Il quarto capitolo di questa meravigliosa storia di rugby italiano è durato 80 lunghi, interminabili minuti, ma ha portato il manuale del rugby ad essere applicato in più paragrafi sul prato verde dello stadio romano: come a Grenoble nel 1997, più che a Grenoble, meglio che al Flaminio di due anni fa, la vittoria sulla Francia rappresenta la raccolta del frutto proibito, finalmente maturato e pronto per essere assaporato nelle vittorie e nelle sconfitte, che da oggi saranno certamente più consapevoli.
La nazionale italiana è un bruco divenuto farfalla, che dopo la ripassata all'emisfero sud fatta a novembre può ora competere con tutti, a tutti i livelli, nella buona e nella cattiva sorte: l'intelligenza tattica, la preparazione atletica, la gestione delle forze in campo, la pulizia dei punti d'incontro, i palloni di qualità, gli errori (parte integrante, e fondamentale, di questo sport), tutti aspetti nei quali l'Italia non ha contenuto la Francia: ha primeggiato, senza se e senza ma.
Pensare oggi di poter vincere il 6Nazioni è prematuro (mancano ancora quattro partite), ma pensare di giocarsela sempre e comunque, di assumersi finalmente anche la responsabilità della sconfitta (che fa maturare più di una vittoria, e la storia recente ce lo insegna) è un obiettivo, forse l'obiettivo, raggiunto da questa squadra, divenuto oggi un dovere.
Giovani e "senatori" di questa squadra accomunati da un senso di umiltà unico, dalla voglia di imparare sempre e di non vedersi accontentati mai, nel rispetto delle regole, degli avversari, dell'arbitro: non c'è mai stato spazio, nè mai ci sarà, per le furbate, i colpi di teatro dei personalismi, in questo sport.
E' per questo che, forse, piace ad un pubblico sempre più ampio, per i valori che mette a disposizione di tutti, dai quali abbeverarsi a piene mani come alla fonte della birra più inebriante: lo ha mostrato a tutti, questo spirito, capitan Parisse ieri dopo la prima meta (lo potete vedere nella foto): sembra voler dire "sssst, non abbiamo ancora iniziato". E' il rugby baby. E l'Italia ieri l'ha insegnato alla Francia.