La conosciamo tutti come Mahsa Amini, la ragazza di 22 anni che è stata torturata e uccisa dalla “polizia della moralità religiosa” della Repubblica islamica iraniana. Tuttavia, il suo nome era Jina, un bel nome curdo, che significa “vita".
In Iran, la popolazione curda è discriminata e i nomi curdi sono banditi. "L'Iran controlla il modo in cui i suoi cittadini chiamano i propri figli. L'Iran nega i nomi che non sono nella loro lista persiana e islamica approvata, i nomi che rappresentano il nazionalismo etnico o l'orgoglio regionale sono vietati, ad eccezione dei nomi persiani”, spiega il commentatore degli affari curdi Hamid Mustafa.[1]
Pertanto, nei suoi documenti ufficiali, era registrata come “Mahsa”, un nome persiano consentito dalla Repubblica islamica. Eppure, a casa, era Jina. Questo è il nome che la sua famiglia la chiamava, questo è il nome che pronunciava sua madre mentre piangeva sulla sua tomba.[2]
Fu costretta a portare "Mahsa" come suo nome ufficiale
Gli attivisti curdi per i diritti umani sui social media sottolineano che Jina non è stata picchiata a morte solo perché indossava l'hijab in modo troppo ampio e non conforme agli standard del regime, ma anche perché era curda. L'attivista curdo-svedese, il dottor Kochar Walladbegi, scrive: “In Iran... le minoranze come i curdi vengono soppresse... Per i curdi, essere uccisi e torturati è un comportamento sistematico [della Repubblica islamica], devono affrontare questo ogni giorno della loro vita!... Jina è stata torturata dalla polizia iraniana per la moralità... anche perché era una curda e una donna, il che la rende una minoranza all'interno di una minoranza!
Ho deciso di chiamarla con il suo nome curdo Jina che significa vivere, un nome che lei, come molti altri curdi, non le è stato permesso di portare. Invece, è stata costretta a portare 'Mahsa' come nome ufficiale, per i brevi 22 anni della sua vita.”[3]
La Repubblica islamica accusa i gruppi di opposizione curda di aiutare i manifestanti
Dopo la morte di Jina, le manifestazioni contro la Repubblica Islamica si sono intensificate in tutto il Paese, soprattutto nella regione del Kurdistan. Il media curdo Rudaw ha riferito che il governo iraniano ha detto ai partiti di opposizione curda basati sui confini della regione del Kurdistan di “evacuare” le loro basi, altrimenti il regime “considererà altre opzioni”.
“Il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) iraniano ha inondato i cieli delle province di Erbil e Sulaimani della regione del Kurdistan alla fine del mese scorso con missili balistici e droni suicidi, prendendo di mira le basi dei gruppi di opposizione curda, che accusano di fornire armi ai manifestanti nel paese” ha spiegato Rudaw.[4]
Inoltre, Nazim Dabbagh, rappresentante dell'ufficio del governo regionale del Kurdistan a Teheran, ha dichiarato: “Il governo iraniano ha indagato e ha scoperto che un certo numero di partiti di opposizione [curda] iraniana hanno interferito nelle proteste e li accusano di incitare al caos, quindi l'Iran ha sottolineato che le parti devono evacuare il loro quartier generale.”[5]
"Jin, Jiyan, Azadi"
Vale la pena notare che lo slogan in farsi delle proteste “Zan, Zendegi, Azadi [Donna, Vita, Libertà]” è in realtà uno slogan popolare curdo, utilizzato da anni nel movimento indipendentista curdo. È stato Abdullah Öcalan, il membro fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), incarcerato, a rendere popolare lo slogan nei suoi scritti.
L'attivista politico Zozan Sima scrive: “Ma l'intimidazione, [che la Repubblica islamica dell'Iran] ha cercato di esercitare sulle donne, sui curdi e su coloro che si oppongono al sistema nella persona di Jina, è stato un passo sbagliato e ha acceso una nuova scintilla nella lotta contro il sistema. I più significativi sono il crescendo di slogan [che] donne e uomini – in Iran in generale e nel Kurdistan iraniano in particolare – cantano in curdo e in farsi come una sola voce: 'jin-jiyan-azadi!' e 'zan-zendegi-azadi!' [Donna, vita, libertà!].”[6]
Spiegando il significato dello slogan, nel suo libro "The Art of Freedom", l'attivista del movimento per la libertà curdo Havin Guneser afferma: "Probabilmente hai sentito parlare di 'Jin, Jiyan, Azadi'. A causa di questa teoria... il movimento di libertà curdo ha mostrato le connessioni che rendono la rivoluzione delle donne la liberazione della vita stessa. Si tratta di liberare la vita. Pertanto, anche gli uomini vedono che, in realtà, non hanno alcun vero privilegio.
Allo stesso modo, diciamo che la colonizzazione e l'oppressione dei curdi impedisce ai turchi di diventare democratici [e lo stesso si può dire dell'Iran!]. La riduzione in schiavitù delle donne perpetua anche la schiavitù degli uomini... Ecco perché diciamo che la rivoluzione delle donne libera la vita. In Curdo, la radice della parola vita è 'Jin'. Jin significa donna, mentre jîn significa vivo e jiyan significa vita. La parola in radice è la stessa.
Ed è per questo che diciamo Jin, Jiyan, Azadi. Azadi significa libertà. E dato che la parola sumera per libertà è Amargi, che significa “ritorno alla madre”, le tre parole sono così interconnesse e hanno perfettamente senso: donne, vita, libertà. Man mano che le donne diventano libere, è inevitabile che la vita stessa torni alla sua magia e incanto. Così, lo slogan, Jin, J iyan, Azadi.”[7]
Cosa c'è in un nome?
È innegabile che le proteste per la libertà in Iran hanno anche una radice curda. Il cambiamento in Iran verrà dalle donne e dalle minoranze etniche che sono stanche di essere oppresse e perseguitate. Nei social media, molti utenti scrivono: “Dì il suo nome”. Beh, il suo nome era Jina.
Non dimentichiamo la sua morte e non cancelliamo la sua identità curda. La lotta “per la libertà” (“baraye azadi”, come recita la popolare canzone anti-regime)[8] si oppone alla discriminazione della Repubblica islamica contro le donne, contro le minoranze e contro i curdi. Jina era sia una donna che un curdo.
Il suo nome Jina trova la sua fonte nello slogan per la libertà, Jin, Jiyan, era una donna, rappresenta la vita. Dì il suo nome: Jina Amini.
*Anna Mahjar-Barducci è una ricercatrice senior MEMRI e da sempre collaboratrice di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale.
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[1] Facebook.com/Himdad.A.Mustafa, 28 settembre 2022.
[2] Kurdistan-au-feminin.fr, 3 ottobre 2022.
[3] Facebook.com/kwalladbegi, 20 settembre 2022.
[4] Rudaw.net/english/kurdistan/091020221, 9 ottobre 2022.
[5] Rudaw.net/english/kurdistan/091020221, 9 ottobre 2022.
[6] Medyanews.net/crescendo-of-kurdish-womens-rallying-cry-jin-jiyan-azadi/, 22 settembre 2022.
[7] Havin Guneser, The Art of Freedom: A Brief History of the Kurdish Liberation Struggle, PM Press, Oakland, CA, 2021.
[8] Youtube.com/watch?v=XrvpRb2jY1M, Baraye Azadi di Shervin Hajiaghapour.
Disegno: Lo slogan curdo "Jin, Jiyan, Azadi" ("Donna, vita, libertà"). (Fonte: Twitter)
(da MEMRI Middle East Media Research Institute)
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