'L’ultima dittatura d’Europa'. Così Washington e la stampa internazionale hanno definito più volte la Bielorussia: l'ultimo avamposto anacronistico ad oriente in Europa. Lo scorso 23 settembre, nonostante la Commissione del voto bielorusso abbia registrato per le elezioni un’affluenza pari al 74,2%, nessun deputato è stato nominato alla Camera Bassa del Parlamento nei partiti di opposizione al leader indiscusso Lukashenko.
Ques'ultimo, per gli osservatori internazionali, detiene il potere su 10 milioni di persone attraverso il terrore, la repressione degli oppositori politici, dei giornalisti e dei cittadini dissidenti, lubrificando a suo piacimento la potente macchina dell’informazione da oltre dieci anni.
Nonostante gli appelli di personalità mondiali in questi anni, a partire dall’ex presidente cecoslovacco Vaclàv Havel, uomo pubblico simbolo di transizione democratica post-comunista, abbiano denunciato l' apatia istituzionale circa il destino della Bielorussia da parte dei vertici Ue e il buco d’informazione su un Paese che, sulla carta, appartiene all’Europa, ma intrattiene al contempo stretti rapporti con il patriarca russo, a queste ultime elezioni su 110 deputati eletti, 109 appartenevano direttamente o indirettamente a Lukashenko.
A seguito della denuncia di broglio elettorale da parte dell’opposizione, proprio in queste ore la Commissione Ocse sta valutando l’ammissibilità del punteggio elettorale. Sergheiei Kaliakin, leader di uno dei due partiti di opposizione, ha parlato di pressioni e brogli durante la vigilia elettorale, concludendo che le elezioni di ieri non possono essere definite né libere né democratiche, mentre il leone Lukashenko, beffardo, ha dichiarato alla stampa: “Dovrebbero invidiarci le nostre elezioni noiose. Non abbiamo rivoluzioni nè rivolte”.
E così il nuovo governo sarà composto da tre rappresentanti del partito comunista: uno del partito agrario, uno del partito della giustizia e del lavoro e un liberaldemocratico; gli altri candidati indipendenti sono tutti filo-Lukashenko.
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