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16/11/24 ore

Amnistia in Birmania, il regime perdona ma non convince


  • Livio Rotondo

In coincidenza del viaggio negli Usa della leader dell’ opposizione birmana e premio nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, e a pochi giorni dall’incontro su suolo americano del nuovo Presidente Birmano, Thein Sein, con i vertici di Stato Usa, previsto per il 24 settembre, la tv di Stato del Myanmar ha diffuso la notizia di una nuova amnistia prevista per 500 persone imprigionate nelle carceri del Mynmar, tra cui 80 condannati per reati di opinione.

 

Il governo non ha però voluto rendere pubblici i nomi delle persone liberate. Nonostante la 'generosità' del decreto, da attenti osservatori internazionali viene consigliata prudenza nel decodificare un atteggiamento che avrebbe l’unico vero scopo di ammorbidire l’America nei confronti della Birmania.

 

Il paese, che viene da decenni di dittatura militare, nonostante abbia da poco avviato un timido processo di democratizzazione a partire dalla liberazione e dall'insediamento in Parlamento di San Suu Kyi, sarebbe ancora troppo legato ad una logica corrotta di gestione della cosa pubblica; l’apertura, quindi, del paese asiatico nei confronti dall’occidente avviata dal neo- Presidente Thein Sein (denominato per questo il nuovo Gorbaciov birmano) viene guardata dagli analisti con sospetto.

 

D’altro canto il tour di San Suu Kyi negli Stati Uniti, prima a Washinton dove “la Signora” incontrerà il Presidente Obama e riceverà la massima onorificenza civile americana, la medaglia d’oro del Congresso (assegnata già nel 2008, ma che potrà essere ritirata fisicamente solo in questi giorni), poi a New York e infine a San Francisco nei quartieri dove vive da decenni una comunità birmana, potrà realmente permettere alla leader dell’opposizione di parlare davanti al mondo, apertamente, delle difficili condizioni in cui versa la popolazione birmana.


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