La guerra del gas Ue-Russia si arricchisce di un altro capitoletto a margine della crisi Ucraina che ha innescato la miccia, facendo comprendere quanto sia pericolosa la forte interdipendenza energetica costruita negli anni. Oggetto dello scontro è ancora una volta il progetto South Stream, che prevede la costruzione di un gasdotto di 2300 chilometri che, attraverso il Mar Nero, raggiungerebbe anche i nostri lidi bypassando i territori caldi dell’Ucraina.
Il progetto, nelle more di un braccio di ferro in corso da tempo, si è bloccato sul nodo Bulgaria: da Sofia infatti non sono ancora arrivate le autorizzazioni per il passaggio sul proprio territorio. Putin attribuisce questo empasse alle pressioni della Commissione europea che starebbe ostacolando il progetto in vista di una diversificazione degli approvvigionamenti. Per questo ha annunciato il ritiro "dal South Stream a causa della mancanza di volontà dell’Ue di sostenere il gasdotto e il gas verrà riorientato verso altri consumatori". In primis, la Turchia, luogo da dove la minaccia dello Zar è partita e da dove un nuovo gasdotto lungo il confine greco-turco dovrebbe soddisfare le esigenze della regione e aggiungersi al canale già esistente che prende il nome di Blue Stream.
L’Unione Europea dal canto ha in effetti dimostrato a più riprese di non considerare una priorità il progetto nel quale la nostra Eni partecipa con un forte investimento, preferendo strade diversi, per altro molto impervie. Come quella del famigerato Nabucco, un’idea alternativa inseguita per anni ma svanita nel nulla, perché rivelatasi nei fatti senza ne capo ne coda, alla quale si è poi preferito il meno pretenzioso Tap, dal quale dovrebbe giungere il gas dall’Azerbaijan.
C’è da dire che il nocciolo della questione-South Stream riguarda la destinazione d’uso: l’Europa vorrebbe che dal gasdotto passasse anche gas non russo, dando spazio quindi anche a fornitori terzi; la Russia invece intende far passare solo gas proprio già sotto contratto, che oggi prende la via instabile dell’Ucraina.
Ma al di là di queste manifestazioni di intenti diversificatori, che da ambo i lati non si manca di evidenziare in ogni occasione, resta la forte e ineludibile, almeno nel medio periodo, dipendenza reciproca fra i due contendenti in campo energetico. Perché, se da un lato l’Europa non può fare a meno del gas russo e vive con apprensione l’ipotesi d’interruzione delle forniture; dall’altro lato la Russia dipende fortemente dall’esportazioni verso l’Europa e quindi difficilmente potrà tradurre in fatti concreti le sue mire bellicose.
Restando pertanto ancora lunghi e incerti i tempi di un affrancamento reciproco, ci si aspetta che un più sano e opportuno realismo prenda prima o poi il sopravvento, in attesa che politiche energetiche lungimiranti, comuni e meno schizofreniche liberino l’Ue – con in testa l’Italia - da una morsa poco rassicurante. (red.)
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