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16/11/24 ore

UE, lo squilibrio fra poteri



Intervista a Gianni Bonvicini

(Vicepresidente Vicario dell'Istituto Affari Internazionali)

 

- L’Europa, in preda a una crisi sistemica, acuita dalla depressione economica, deve fare i conti con un’ondata euroscettica senza precedenti che può condizionare le scelte future, quanto mai necessarie per correggere la rotta dell’Unione. Tutti i nodi sono venuti al pettine ed ora si pone innanzitutto il problema di salvare il salvabile, evitando il fallimento dell’intero progetto europeo. Da dove partire, quindi, facendo tesoro degli errori commessi?

 

Oggi assistiamo a uno squilibrio nelle relazioni fra gli organi dell’Ue, dopo che il Trattato di Lisbona ha istituzionalizzato in via definitiva il Consiglio Europeo fornendogli il potere di esercitare una funzione non normale di iniziativa legislativa e, soprattutto, di prendere le decisioni che in passato costituivano prerogativa del Consiglio dei ministri degli esteri. Lo squilibrio fra le istituzioni si è poi accentuato con la crisi finanziaria, che di fatto obbliga il Consiglio europeo ad intervenire massicciamente con una riunione al mese d’emergenza per assumere decisioni urgenti. In tal senso, ci si è mossi in tema di Unione bancaria, di Fiscal compact, di Esm…, che costituiscono il pacchetto di norme e strumenti attraverso i quali in qualche modo si è cercato di tamponare la crisi.

 

- Quali sono stati gli effetti?

 

Il primo effetto è stato quello di depotenziare la Commissione europea, che non è più in grado di svolgere quello che i trattati le attribuiscono, vale a dire in esclusiva il potere legislativo. Quest’ultimo è ormai nelle mani del Consiglio europeo che obbliga la commissione semplicemente a eseguire quanto dallo stesso proposto e deciso. L’altro effetto ricade sul Parlamento europeo, che dialogava in modo molto stretto con la Commissione in fase di proposte legislative e con il Consiglio dei ministri degli esteri in fase di co-decisione, mentre ora deve confrontarsi con i Capi di Stato e di Governo. Ciò complica enormemente tutto il processo decisionale, in quanto nel Consiglio dei ministri si vota a maggioranza qualificata, mentre nel Consiglio europeo si vota all’unanimità. Non solo: i capi di stato e di governo rispondono in modo diretto ai propri elettorati nazionali e ai propri parlamenti nazionali.

 

- Alcuni sostengono che il governo europeo non sia più costituito dalla Commissione ma dal Consiglio Europeo e in tal senso sarebbe opportuno limitarsi a rafforzare il Consiglio.

 

Questa tesi ha una debolezza di fondo: il Consiglio europeo non è in grado di svolgere le funzioni di un governo politico; ovverosia riesce a fissare delle regole, fissare dei numeri, fissare dei comportamenti, ma non è in grado di governarli discrezionalmente. In altre parole, la filosofia delle regole prevale sulla capacità discrezionale di un governo, quando invece, di fronte a una crisi, un governo deve poter prendere con flessibilità quelle decisioni che sono necessarie. In sostanza non basta semplicemente fissare la regola del 3%, o il limite 60% del debito... o la percentuale annuale del rientro dallo stesso.

 

Le cose sono più complicate, perché in un momento di recessione, le regole per alcuni paesi dell’Ue devono essere flessibili. Il che significa che bisogna governarle. È evidente, quindi, che un consiglio di capi di Stato che si riunisce una volta al mese non può avere la capacità di governo quotidiano e di rispondere a quelle che sono le necessità… e non possiamo nemmeno permetterci di dire che deve essere Berlino a guidare le politiche degli altri paesi; cosa che capita in una visione del Consiglio europeo largamente dominato dalla Germania, il cui peso e il cui parere è fondamentale per prendere una decisione unanime.

 

- In tal senso difficilmente possano risolversi quindi i problemi del governo europeo col rafforzamento del Consiglio…

 

Bisogna ripensare a questo equilibrio, altrimenti si rischia di passare da un euroscetticismo di tipo tradizionale – che è quello sul dubbio nella validità dell’euro, sul dubbio nella validità nella politica agricola… – a un euroscetticismo di tipo selettivo, in base al quale ogni paese guarda il proprio interesse e combatte contro l’altro paese, disgregando di fatto la funzione di governo della UE, dal momento che all’interno del Consiglio europeo si vota all’unanimità.

 

- Rispetto a questa situazione, c’è una presa di coscienza al vertice che possa poi indurre a un cambio di direzione?

 

Diciamo che questa consapevolezza non c’è fintanto che la crisi continua a imporre al Consiglio europeo una serie di decisioni. Si gestisce la cosa così com’è, perché è l’urgenza ad imporlo. Ci sono dei momenti in cui gli stessi governi si rendono conto della inefficacia del governo europeo. Ad esempio, Angela Merkel spesso ha sottolineato la necessità di un passo in avanti e quindi di andare verso l’unione politica. Lo stesso Hollande ha detto in alcune occasioni che questo tipo di Europa non può bastare. Tuttavia, la realtà dei fatti è che le proposte di cambiamento non diventano mai fatti concreti, perché tutti sanno che per arrivare a cedere ulteriore sovranità nell’area politica bisogna rivedere i trattati, che con la crisi hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza.

 

Non a caso, proprio perché questi vincolano le modifiche con decisioni all’unanimità, sono state prese delle misure fuori dai trattati - come il Fiscal compact, Esm - con meno paesi membri, 26 invece di 28 e con l’Inghilterra fuori. Tutti comprendono quindi che non si può procedere in questo modo, anche se nessuno vuole fare il primo passo e si aspetta per ora il 2017, anno delle elezioni in Gran Bretagna...

 

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