Visto che l’Occidente era in qualche modo deciso a reagire alla mossa unilaterale russa in Crimea (prospettiva di sanzioni economiche sempre più dure, invio di truppe NATO nei paesi della Comunità Europea al confine con la Russia), Putin ha telefonato ad Obama per cercare una soluzione di comune accordo.
Non ha cioè telefonato alle autorità europee, benché la questione riguardasse proprio ‘Europa, in quanto all’origine della vicenda c’era la questione dell’accordo economico che l’Ucraina voleva stabilire con l’Unione Europea e che Mosca ha impedito.
Obama questa volta si è mosso, visto che Putin aveva compiuto il passo più lungo della gamba: la fornitura dell’uranio all’Iran era passata, come era passato l’intervento per salvare Bashar el Assad, nonostante il terribile contesto rappresentato dalla perdurante strage siriana. Era giunto il momento di dare un segnale.
Le prime osservazioni che tutto questo andamento suggerisce sono due: siamo tornati un po’ ai tempi della guerra fredda quando le crisi internazionali venivano decise tra USA e URSS, cioè le due maggiori potenze del mondo, anche se oggi esse sono state ridimensionate, e questa è la prima; la seconda è che proprio in questo contesto sta la conferma dell’obbiettivo che Putin chiaramente persegue, cioè la restaurazione di una Russia quale grande potenza mondiale, attraverso l’acquisizione in primo luogo di una sorta di protettorato su tutti gli stati che fino all’implosione del sistema comunista facevano parte dell’impero sovietico, da considerare come una sorta di ex colonie.
E sta proprio nel non aver compreso le ambizioni del nuovo capo del Cremlino che risiede l’errore fondamentale commesso dalla Germania in primo luogo,ma certo non solo dalla Germania, l’aver cioè ritenuto che anche sul piano dei rapporti internazionali esistesse una nuova Russia decisa a convivere in santa pace col resto del mondo e in collaborazione con tutti, in difesa della democrazia planetaria, fornendo gas e ricavandone un giusto profitto e quindi da aiutare a modernizzarsi…
Ora, se è chiaro che un rapporto particolare tra la Russia e l’Europa (il resto dell’Europa) sta scritto nel corso del futuro, perchè la storia di questa nazione è una fetta della storia dell’Europa e lo stesso comunismo russo è un’invenzione della civiltà europea, è però altrettanto chiaro che l’attuale politica del Cremlino non è quella nella quale era stato possibile confidare al momento della caduta del muro di Berlino.
Per tornare al’attualità, comunque, i due ministri degli esteri, Kerry e Lavrov, si sono incontrati e hanno iniziato una trattativa imperniata su una sorta di neutralizzazione dell’Ucraina, alla quale dovrebbe essere dato un ordinamento interno decentrato in forti autonomie, secondo la proposta del Cremlino.
In altre parole, l’Ucraina formalmente non dovrebbe appartenere né all’Unione Europea, né al blocco russo e dovrebbe assicurare al proprio interno voce in capitolo alle minoranze, di cui quella più consistente è la russa (17,3 % della popolazione, cioè circa 8.200.000 abitanti, dislocati prevalentemente in Crimea e nelle zone orientali del paese): una forte limitazione della propria sovranità, anche negli ordinamenti interni (come se in una vera democrazia l’eguaglianza dei diritti non sia assicurata senza distinzione di sesso, di razza ecc.).
Ma il punto è soprattutto un altro. Di fatto la Russia intende mantenere una sorta di diritto di intervento negli affari interni del paese vicino, come dimostra proprio la vicenda Ucraina. C’è un dato di allarme in un fatto che non può essere trascurato o ritenuto soltanto di natura propagandistica: l’insurrezione di piazza Majdan è già stata qualificata da Mosca come tentativo di colpo di stato con propositi fascisti; e non si tratta solo di propaganda.
È la premessa per giustificare un intervento al fine di salvare la legalità e la democrazia in Ucraina. Sta in questo il vero rischio che l’attuale situazione presenta; senza dimenticare le provocazioni che tramite i servizi e le manovre di infiltrati possono essere messe in atto per dimostrare che il pericolo fascista è in atto, tanto più che in Ucraina esiste un partito di estrema destra che nutre nostalgie di un certo tipo e sul quale possono essere scaricate responsabilità vere o presunte.
La Russia si è già di fatto annessa la Crimea e l’Europa, specialmente da sola, non sembra in grado di poter fare granché. Europa e Russia poi sono fortemente interdipendenti, non possono fare a meno l’una dell’altra e Putin mette in atto forzature. E il disegno del Cremlino si presenta come articolato e complesso.
Il Cremlino infatti ha posto subito sul tappeto la questione della Transnistria, una sottile striscia di territorio moldavo tra il fiume Nistro (cioè il Dniestr) e il confine ucraino, lunga alcune centinaia di chilometri e popolata da circa 500.000 abitanti; nel 1990, all’atto della crisi dell’URSS, la zona si è proclamata indipendente e tale è rimasta, però solo di fatto in quanto non è stata riconosciuta da nessun altro stato membro dell’ONU (la Moldavia la reclama, ma in realtà non fa nulla per riprendersela). È un territorio senza controllo di frontiere, caratterizzato da contrabbando e da traffici illeciti di vario genere (armi, munizioni, stupefacenti…) con presenza di mafie variamente collegate e viene considerato il “buco nero d’Europa”; la vita economica è dominata dal figlio del presidente della pseudo - repubblica.
Il dato allarmante è rappresentato dal fatto che il 18 marzo scorso, non appena esplosa la vicenda della Crimea, la Transnistria si è affrettata a chiedere l’adesione alla Russia e il fatto che il Cremlino tenga calda la faccenda puzza parecchio di macchinazione complessiva per minacciare l’Ucraina: la Transnistria infatti ha due soli confini, a sudovest con la Moldavia e a nordovest con l’Ucraina e la Moldavia non ha sbocco sul mar Nero, compresa come è tra Ucraina e Romania…
E l’Ucraina? Ucraina non di qua e non di là ha detto salomonicamente Angela Merkel, che ha anche criticato il suo ministro Schäuble per aver fatto paragoni tra Ucraina e Sudeti…
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