“Il popolo ha parlato, la politica dei complotti ha perso. Lo status quo ha perso. I rapporti oscuri hanno perso. Ringrazio chiunque abbia pregato per noi e per la nostra vittoria”. Così Erdogan il giorno dopo le elezioni amministrative che lo hanno visto trionfare con un ampio margine di vantaggio, confermando il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) alla guida delle più importanti città della Turchia.
A scrutinio quasi completamento terminato, l’islamico e conservatore Akp ha raccolto il 45,1% dei consensi, solo il 3% in meno rispetto alle politiche del 2011 e oltre il 38,8% raggiunte alle scorse elezioni amministrative mentre il principale partito d’opposizione, il repubblicano Chp, si è invece fermato al 28,7%.
Il partito del premier si è facilmente ‘aggiudicato’ Istanbul, dove il sindaco uscente Kadir Topbas è stato rieletto, mentre con oltre il 50% dei consensi il candidato del Chp ha vinto a Smirne, terza città del Paese e da sempre roccaforte dell’opposizione; secondo quanto emerso nelle ultime ore, inoltre, sembra che anche nella capitale Ankara, dove inizialmente era in corso un testa a testa tra i due candidati, l’islamico Melih Gokcek abbia sconfitto l’avversario laico Mansur Yavas per un solo punto, assicurando al primo ministro uno dei luoghi chiave del potere economico e politico della Turchia.
E l’opposizione grida ai brogli e alle irregolarità, annunciando contestazioni e ricorsi, ma Erdogan, oggi più forte che mai, continua continua a mostrare il pugno duro criticando aspramente “i politici immorali” i cui “piani” e le cui “trappole” sono state “smascherate”: “la politica delle registrazioni e delle cassette è stata sconfitta”, ha dichiarato il premier, e i suoi rivali “pagheranno un prezzo” per aver minacciato la sicurezza del Paese.
Contro il ‘sultano’ di Ankara, infatti, alla vigilia elettorale, gravava lo scandalo tangenti e la pubblicazione di conversazioni telefoniche compromettenti con importanti membri del suo governo e con i suoi figli: non per niente la chiamata alle urne era stata definita la prova della “sopravvivenza” del primo ministro turco, travolto dalle accuse di corruzione, autoritarismo, nepotismo.
Un “golpe giudiziario” aveva definito il dilagare delle accuse Erdogan durante la campagna elettorale, un piano ordito dall’imam Fethullah Gulen assieme allo “stato parallelo” costituito da diversi esponenti della polizia e dalla magistratura per spodestare anti democraticamente il governo.
Anche la recente decisione di Erdogan di interdire Twitter e Youtube si è posta in linea con l’urgenza di arginare il malcontento e le polemiche dilagate con la scomoda pubblicazione sui suddetti social network delle intercettazioni che gettavano parecchie ombre sull’attività governativa a soli pochi mesi dalle elezioni.
Intercettazioni che, a quanto pare, non hanno scalfito sul piano elettorale il premier islamico che, forte della vittoria, ora punterebbe a vincere le elezioni presidenziali del prossimo agosto, le prime con il voto diretto popolare. Inoltre, spiegano gli osservatori, nel 2015 si terranno le politiche ed Erdogan, modificando le regole dell’Akp, potrebbe decidere di concorrere per un altro mandato dal momento che attualmente, secondo la costituzione, il presidente non è investito di poteri effettivi.
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