Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

26/12/24 ore

Siria, la generazione quasi perduta


  • Francesca Pisano

La Siria rischia di perdere un’intera generazione di figli. Sono loro le prime vittime del conflitto: i bambini che hanno smarrito irreparabilmente il senso della dignità a causa di traumi psicologici, fisici, psicoaffettivi. Sono stati catapultati lontano anni luce da quella che era la loro vita e nel tragitto si è consumata in infiniti casi anche la speranza per il futuro.

 

Secondo i dati Unicef il conflitto ha prodotto 1 milione e mezzo di bambini profughi, le loro destinazioni sono prima di tutto Libano, Giordania, Iraq, Turchia ed Egitto. Queste fughe molto spesso avvengono senza l’accompagnamento dei genitori, il loro numero è arrivato a tremilacinquecento, denuncia ancora l’agenzia delle Nazioni Unite.

 

Le conseguenze dell’essere soli nelle traversate, senza un adulto cui potersi affidare, li espone inevitabilmente alle più semplici trappole dello sfruttamento sessuale, del lavoro minorile, dei matrimoni precoci.

 

Mentre all’inizio del conflitto l’esodo dalla Siria verso i paesi confinanti ha riguardato prevalentemente persone adulte di sesso maschile, in un secondo momento ha assunto le dimensioni di un fenomeno proprio delle famiglie e dei minori al di sotto dei 5 anni, sono questi ultimi infatti a rappresentarne la grande maggioranza.

 

Quando si parla di loro si intende l’infanzia siriana considerata universalmente e costituita da sunniti, sciiti, cristiani, yazidi, curdi, shabaki; si tratta delle diverse etnie che compongono la popolazione del paese.

 

Va considerato poi che i Paesi che costituiscono le mete di fuga per questa infanzia sono stati a loro volta terre colpite da recenti guerre o problemi di gravi contrasti interni e per questo non si sono sempre rivelati in grado di garantire la ricostruzione e la crescita per i siriani in fuga. Ad esempio, il governo del Kurdistan, a nord dell’Iraq, ha accolto l’ingresso dei profughi provvedendo alla realizzazione di 6 campi permanenti a loro destinati specificatamente, inoltre ha permesso l’accesso anche a tante altre persone che però sono confluite nelle comunità curde locali.

 

Per i minori che sono entrati a far parte di queste aree è certamente più difficile usufruire di programmi mirati alla loro assistenza, proprio per il fenomeno di conseguente dispersione cui vanno incontro. In Libano, invece, esistono solo campi informali, sono 400, secondo quanto dichiarato da Annamaria Laurini, rappresentante Unicef per il Paese. Qui “i bambini bisogna cercarli per assisterli” in quanto non esistono campi formali. Il governo infatti non supporta la realizzazione di infrastrutture per gestire l’emergenza dei profughi siriani in quanto non vuole favorire una loro permanenza definitiva nel Paese, dovendo già far fronte alle esigenze organizzative e di convivenza che provengono dai 12 campi destinati ai palestinesi presenti sul territorio. La mancanza di spazi ufficiali destinati ai siriani, fa sì che debbano accedere agli stessi servizi pubblici destinati alle comunità locali e, considerando che nel paese solo il 20% dei servizi di base è coperto dal settore pubblico, la parte restante risulta in mano a privati. Ne deriva che, a causa delle condizioni politiche e sociali, il Paese sia in grado di mettere a disposizione solo scuole fatiscenti, centri di sanità privi di medicine e a servizi territoriali caratterizzati da scarse condizioni igieniche e sanitarie.

 

Se questi sono alcuni aspetti che si trovano ad affrontare i bambini che lasciano la Siria per scappare via, all’interno del Paese restano ancora almeno 2 milioni di minori che lottano per la sopravvivenza rimanendo al centro di un conflitto che ha portato l’indice dello Sviluppo Umano a regredire di 35 anni. Lo sottolinea Save the Children nel rapporto “La Fame in una Zona di Guerra” sottoposto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riunitasi a New York a partir dallo scorso 24 Settembre.

 

Nel testo sono raccolte le testimonianze di persone che vivono il conflitto e per le quali la mancanza di cibo rappresenta un elemento fondamentale dell’emergenza umanitaria. E’ attraverso questo documento che l’organizzazione chiede che l’Assemblea Generale ascolti e amplifichi la voce dei minori in Siria per facilitare in piena sicurezza l’ingresso degli aiuti nel Paese; che i Paesi confinanti continuino a collaborare con l’Onu e le organizzazioni umanitarie mantenendo aperte le frontiere. Viene inoltre richiesto che i donatori internazionali incrementino il sostegno economico fornito a supporto degli interventi umanitari, in tutte le aree del Paese, anche lì dove l’Onu non è presente; che tutte le parti del conflitto collaborino per assecondare il passaggio degli aiuti umanitari garantendo che i percorsi da attraversare siano sicuri.


Aggiungi commento