“Segheremo gli alberi di quel parco, saranno ripiantati in un altro posto”. Come se la rivolta in atto sotto il cielo turco affondasse le proprie radici unicamente nella terra di uno degli ultimi polmoni verdi di Istanbul, il Gezi Park. Ma così non è ed Erdogan lo sa bene.
Mentre davanti al gruppo parlamentare del suo partito il premier annuncia “tolleranza zero” e minaccia l'uso di un linguaggio “che i manifestanti capiranno”, la polizia ha ripreso il controllo di piazza Taksim, cuore della capitale ed epicentro della scossa che, da dodici giorni, sta facendo tremare la Repubblica voluta da Ataturk.
In tenuta antisommossa e con l'utilizzo di cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e mezzi blindati, centinaia di agenti hanno sgomberato la piazza, costringendo gli occupanti a ritirarsi verso Gezi Park. Ma la protesta - che finora conta 4 morti (3 manifestanti e un poliziotto) e migliaia di feriti - non si spegne, anzi.
Secondo i manifestanti il governo ha 'infiltrato' degli agenti provocatori, incaricati di lanciare sassi e bottiglie incendiarie contro la polizia, così da giustificare l'irruzione nella 'roccaforte' rappresentata da Taksim mentre il capo dell'opposizione turca, Kemal Kilicdaroglu, ha accusato Erdogan di essere un “dittatore”, incapace di garantire quella “democrazia di prima classe” che gli indignados turchi chiedono a gran voce.
Il leader dell'Akp, dal canto suo, ha ricordato di aver vinto le elezioni in modo regolare e con un ampio margine di consensi: “Noi – ha dichiarato il primo ministo – siamo la parte che costruisce, c'è poi la parte che ditrugge”. E di questa parte, per Erdgoan, farebbero parte anche la stampa estera e le lobby finanziarie, ree di aver organizzato una “congiura collettiva” per attaccare il paese e farne precipitare l'economia.
Ma il vero baratro in cui rischia di sprofondare la Turchia è quello del rifiuto del dissenso, dell'ostinazione con cui Erdogan fonda la sua legittimità su un 50% della popolazione, sottraendosi pericolosamente a un dialogo – promesso e non mantenuto - con quella minoranza da cui “non si può accettare una tirannide”.
Capitolare sulla riconversione del Gezi Park in un centro commerciale, così come era inizialmente previsto, per poi confermare un progetto edilizio che prevede la costruzione di una enorme moschea e di una caserma militare, non significa trattare, ma fortificare ancora di più la convinzione di una deriva autoritaria del governo.
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