Che fine hanno fatto i giovani protagonisti delle rivoluzioni arabe iniziate nel dicembre 2010? A questa domanda cerca di rispondere il nuovo Speciale di AffarInternazionali, la rivista online realizzata dall’Istituto Affari Internazionali (IAI), fondato nel 1965 da Altiero Spinelli.
Lo studio, presentato all’università Roma Tre, dal titolo “Ondata e ritorno: i giovani e le primavere arabe dall’Iran al Mediterraneo”, mira ad approfondire il ruolo ricoperto dai giovani sia nei paesi che hanno vissuto delle vere e proprie transizioni di regime, come Tunisia ed Egitto, sia nei territori che invece appaiono distanti dal conoscere il “Secondo Risveglio arabo”, come Libano, Giordania, gli stati del Golfo e l’Iran (unico paese non arabo trattato nel dossier).
Ciò che infatti attrae l’attenzione degli osservatori è il modo con cui i giovani sono stati emarginati dalle dinamiche politiche dei paesi stravolti dalla primavera araba. In Tunisia – come scrive Stefano Torelli – “al momento della speranza è progressivamente seguita una fase di disillusione difficile da superare”. Nonostante, infatti, vi sia stata un’apertura politica rispetto al monopartitismo dei decenni precedenti, colpisce l’assenza dei giovani dai posti governativi e, allo stesso tempo, lo scarso riferimento del dibattito politico ai temi più cari alla popolazione giovane.
Lo stesso scenario è rintracciabile in Egitto, dove i giovani chiedono a gran voce maggior inclusione nei processi decisionali. “I punti di forza dei ragazzi di Piazza Tahrir hanno finito col rappresentare dei punti di debolezza” ha sottolineato al convegno la dottoressa Azzurra Meringolo. Le caratteristiche proprie della mobilitazione giovanile, come decentramento, flessibilità, eterogeneità ideologica ed assenza di leader, si sono infatti rivelate “un boomerang controproducente”, lasciando i giovani ai margini delle dinamiche politiche che contano.
In Libano nel 2011 sono nati dei piccoli movimenti di protesta, ma “le aspirazioni dei giovani sembrano essere frenate dall’impossibilità di influire fattivamente sul sistema politico confessionale”. Stesso semi-immobilismo in Giordania, dove a guidare le manifestazioni sono stati gli esponenti delle forze politiche tradizionali e non i ragazzi al di sotto dei 29 anni, che rappresentano il 60% della popolazione.
Anche nell’area del Golfo Persico l’attivismo dei giovani fatica ad emergere. In alcuni paesi, soprattutto in Kuwait e Bahrein, si sono alzate richieste di riforme politiche ed economiche, ma il movimento giovanile appare troppo frammentato per dar vita ad una vera opposizione. E questo nonostante nel Golfo si registri “il più alto numero di fruitori di Internet nel mondo arabo” (circa il 70% della popolazione è presente sui social network).
Capitolo a parte infine merita l’Iran, stretto nella morsa di Ahmadinejad. Qui oltre alle difficoltà economiche, sui giovani iraniani pesa il restringimento delle libertà politiche e civili, evidente in particolar modo nelle università. In vista delle elezioni presidenziali del prossimo giugno, le forze di opposizione guidate dal Movimento Verde sembrano orientate a puntare proprio sul coinvolgimento dei giovani, accogliendo il loro malcontento e dando vita ad ondate di protesta con effetti imprevedibili.
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