L’abitudine di gran parte dei media nazionali a “formare” i fatti anziché informare, per cui il divario fra parole e cose aumenta, è confermata ancora una volta. Come nella narrazione sulla vaccinazione in corso si è dato a intendere che la Lombardia fosse più indietro di tutti, in contrasto con la realtà che registra una percentuale di vaccinati alla pari di quella del Lazio, messo invece sul podio dai tg conformi al portavoce di Palazzo Chigi, altrettanto è avvenuto con la descrizione della crisi di governo in Parlamento.
In pratica, una volta incassato il voto favorevole della Camera, si vorrebbe dare a intendere che il premier Conte si è rafforzato, che l’iniziativa di Matteo Renzi ha fallito e che con rinnovata lena si navighi spediti verso il 2023.
L’ennesimo esercizio manipolatorio, utile soprattutto per confondere le acque e a non far comprendere nulla delle partite che si stanno davvero giocando. Nessuno può avere la pretesa di districare il garbuglio nel quale si trovano oggi i partiti italiani, però si potrebbe fare un piccolo sforzo per meglio capire pose e pensieri dei giocatori.
Ad esempio, uno dei punti deboli dell’azione svolta da Italia Viva di Renzi consiste nel fatto che non si spiega come mai, una volta insistito sui “contenuti” manchevoli del Piano nazionale di ripresa e ottenuto di cambiarlo, abbia poi deciso di ritirare i suoi ministri. Per spiegarlo, occorre spostare l’attenzione e rivolgerla al fatto che tanto Conte, quanto Renzi rivaleggiano in realtà per essere i referenti di una futura area di centro, giudicata potenzialmente un magnete capace di modificare i prossimi schieramenti.
Quanto ciò corrisponda al vero è in realtà tutto da vedere. Fatto è che Giuseppe Conte sembra per il momento aver prevalso nella preferenza di importanti settori (non esclusi quelli episcopali oltretevere, evidentemente desiderosi di creare un aggregato politico cattolico). In questo senso, per Renzi era decisivo sgomberare il terreno dalla concorrenza e, tuttavia, anche qualora il governo Conte proseguirà anche senza Italia Viva non si potrebbe dire che l’ex premier fiorentino sia necessariamente perdente.
In fondo, con il suo dinamismo, potrebbe utilizzare la sua posizione fuori dal governo per assorbire nuova forza e costruire le premesse per incrementare il suo peso. D’altro canto, un Conte che si mantiene in sella solo grazie al precario sostegno di una variegata compagnia priva di linea, risulterebbe più ammaccato che restaurato.
Il PD di Zingaretti, che evidentemente aspira a fare la parte del proverbiale terzo fra i due litiganti, ha ben poco per dirsi soddisfatto. Al momento può forse contentarsi di aver ridimensionato il debordare dell’ego del premier e ottenuto una legge elettorale proporzionale che taglia le gambe al centro-destra, ma le trame di Goffredo Bettini non fanno che ripetere stancamente lo stesso disegno consociativo di mezzo secolo fa, trasformando il PD in gregario dell’alleanza con un centro eventualmente “contiano”.
Ma davvero si può credere che nel 2021, con una crisi economica e sociale che è prossima a rivelare i suoi caratteri esplosivi, si possa gestire la politica con le stesse modalità di quando l’Italia era parte centrale del bipolarismo coatto post-Yalta? Tutto è cambiato. Del resto, che dentro il PD non si sia del tutto convinti è dimostrato anche dal fatto che ogni tanto riaffiori l’idea che andare al voto potrebbe, tutto sommato, essere un’opzione da non scartare.
E forse perfino Renzi comincia a pensarlo anche perché attendere altri due anni sarebbe per lui controproducente. In fondo, l’unica cosa sicura del voto è che il suo esito sarà quanto mai sorprendente, rispetto alle previsioni dei sondaggisti.
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