Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

18/11/24 ore

Il no di De Benedetti al Conte due condizionato da Renzi


  • Luigi O. Rintallo

La settimana politica seguita alla investitura del secondo governo Conte è stata contrassegnata da pronunciamenti, talora imprevisti.

 

Lunedì 9 settembre, alla prima puntata dopo la pausa estiva, il talk show di Lilli Gruber «Otto e mezzo» ha avuto come ospite Carlo De Benedetti, a lungo editore del Gruppo Repubblica-Espresso, il quale non ha lesinato le critiche sia verso il nuovo governo, sia nei confronti del suo principale promotore e cioè Matteo Renzi.

 

Per De Benedetti sarebbe stato meglio andare al voto, anche perché di fronte alla scelta tra europeismo e sovranismo gli elettori avrebbero alla fine respinto il secondo, impersonato da Salvini. Dando vita all’alleanza PD-5Stelle, è stata data a Salvini – ad avviso del finanziere – la possibilità di continuare a occupare la scena calamitando su di sé i consensi di tutte le opposizioni. 

 

L’analisi ha del fondamento, ma al tempo stesso evidenzia la conferma di una divaricazione fra l’editore e il fondatore di «Repubblica», Eugenio Scalfari, al quale va riconosciuta in qualche modo la primogenitura della svolta che ha dato soluzione alla crisi di agosto.

 

Con l’articolo del 16 luglio, dove si accreditava Giuseppe Conte nell’inedito ruolo di statista in grado di ripercorrere le orme di Aldo Moro – quello stesso Moro che da direttore del quotidiano contribuì a delegittimare, durante il rapimento, ravvisando nelle sue lettere l’espressione di un codardo cedimento al terrorismo – Eugenio Scalfari poneva le premesse per l’operazione “giravolta”.

 

Nel farlo, il novantacinquenne giornalista reiterava la sua quasi semisecolare strategia: operare per una contro-alleanza di regime che  – di volta in volta – è stata declinata in modi differenti, ma sempre accomunati dall’intento di preservare intatto l’assetto di potere consolidatosi in Italia attorno alle oligarchie dominanti, con il sostegno di una classe politica ridotta a cavalier servente. Se si vuole comprendere la dissociazione di Carlo De Benedetti, occorre tener conto dell’inserimento di Renzi che – con il suo funambolico intervento – ha di fatto patrocinato l’operazione sul piano concreto della sua realizzazione in Parlamento. 

 

Non a caso, nell’intervista rilasciata a una quanto mai disorientata Lilli Gruber, l’Ingegnere ha dichiarato: “Il governo durerà fino a che Renzi vuole che duri, perché controlla ancora molti parlamentari. I padri di questo governo si chiamano Renzi e Grillo, e non mi sembra un grande albero genealogico. (...) Renzi mi ha molto deluso. Credo che farà un partito da qui a tre mesi, con la scusa che il PD debba essere riequilibrato al centro”. 

 

Dal che si deduce che ad essere avversato non è il governo Conte in quanto tale, che anzi rappresenterebbe l’ideale ai fini del connubio tra poteri pubblici e privati, bensì la sua eventuale dipendenza dalla politica. Il problema è che, purtroppo, oggi la politica non riesce a trovare la solidità di argomenti e di un metodo capaci di prescindere dalle logiche puramente personalistiche.

 

 


Aggiungi commento