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17/11/24 ore

Il voto europeo tra patetiche schermaglie e assenza di strategie


  • Luigi O. Rintallo

Alla vigilia del voto europeo si deve rilevare come, ancora una volta, il dibattito politico non abbia fornito per nulla un contributo alla comprensione e all’analisi dei problemi.

 

Per quel che riguarda l’Italia, poi, la campagna elettorale si è risolta nella continua schermaglia tra i "leader" dei partiti al governo, che ha concentrato l’attenzione dei media, avendo ben cura di occultare il dato essenziale e cioè la loro assoluta marginalità e ininfluenza.

 

Che Salvini o Di Maio possano essere considerati i veri protagonisti della scena politica, può convincere solo chi si lascia ingannare dalle manipolazioni illusionistiche in atto da tempo per garantire la frammentazione del Paese, indispensabile per s-governarlo come è stato finora.

 

A questo si aggiunge che le percentuali di partecipazione al voto pervenute dagli Stati dove si è già votato sono poco esaltanti: un quaranta per cento degli aventi diritto in Olanda, mentre in Gran Bretagna la burocrazia si è messa di mezzo per scoraggiare i cittadini dall’andare ad esprimersi. Un altro fattore che testimonia la crisi profonda del modello nato a Maastricht, dopo la fine del “bipolarismo coatto internazionale” basato sul duopolio di USA e URSS.

 

È una crisi che ha ragioni storiche e culturali prima di tutto, e per la quale non sono al momento indicate soluzioni praticabili.

 

Non può essere una soluzione fare affidamento al direttorio franco-tedesco, come pare delinearsi dopo Aquisgrana; così come altrettanto improbabile risulterebbe ritornare a forme di nazionalismo, che obiettivamente non dispongono nemmeno dell’acqua per nuotare in un mondo che si appresta a un drammatico contrasto fra Asia e America per la ridefinizione degli equilibri internazionali.

 

Per di più, gli stessi impianti ideali e politici che vanno oggi confrontandosi sono attraversati tutti da un groviglio di contraddizioni, che non permette loro di proporsi come riferimenti che siano minimamente durevoli nel tempo.

 

La tendenza legata alla post-ideologia del “politicamente corretto”, finisce per produrre pericolose degenerazioni autoritarie, che la spingono sino al limite estremo di voler prescindere dall’espressione della volontà democratica.

 

E, dall’altra parte, i movimenti generalmente indicati come populisti (ma anche anti-politici) non riescono a farsi portatori di iniziative in grado di governare realisticamente le questioni, anche perché mescolano anch’essi ingredienti contrastanti.

 

Si va dunque al voto del 26 maggio in un contesto di grande incertezza, con una persuasione di fondo per quel che riguarda l’Italia: alla fine della parabola di regime, alimentato dal debito pubblico, ha prevalso lo scontro tra poteri dei “particolari” delle varie corporazioni e sino a quando queste ultime eserciteranno il loro peso nelle scelte fondamentali per la direzione del Paese (vedi la scelta per l’inquilino del Qurinale), ben difficilmente si fronteggeranno i problemi concreti. 

 

 

(fotoMichal Cizek / AFP)

 

 


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