Il dibattito interno al PD prosegue su un cammino che, ad avviso di chi scrive, appare inadeguato, in quanto si svolge tutto con riferimento alla attualità, alla vicende quotidiane e, anche se non è illogico che sia così perché un partito politico ovviamente è uno strumento per fare politica e la politica la si fa giorno per giorno sui fatti del giorno, tuttavia non basta.
Non basta perché è altrettanto vero che i partiti politici, sia pure attraverso la gestione del quotidiano, affrontano problemi con conseguenze durevoli nel tempo, e non di rado molto durevoli, e sono costretti a fare i conti anche con il passato, recente e meno recente. E questo ci sembra il caso del PD, che ha avuto origine in un tempo politico irto di problemi, forse non adeguatamente considerati. Il PD è infatti venuto in essere dieci anni fa, quando la crisi del sistema politico italiano era ormai completa e dei vecchi partiti comparsi sulla scena politica nazionale nel secondo dopoguerra non ne era rimasto più nessuno.
Era rimasta la sinistra della DC ed era rimasto l’erede del PCI, con altro nome (Democratici della Sinistra) e queste forze politiche si sono ritrovate nella nuova formazione, a conclusione, quasi si direbbe, di una lunga storia, le cui origini - se ne è scritto molte volte -, risalgono all’orientamento del PCI togliattiano che delineava un futuro della democrazia italiana strutturato sulla predominanza di un blocco storico delle forze di carattere “popolare” (comunisti, socialisti e cattolici), un “fronte popolare” in buona sostanza.
Si trattava di una formula politica seducente per la sinistra, ma già inadeguata a quel tempo, perché non teneva conto di alcuni fatti fondamentali.
In primo luogo la DC: questo partito, se era il riferimento in genere dei cattolici italiani e anche di tantissimi altri elettori, tuttavia non rappresentava tutte le posizioni politiche cattoliche, ma quelle più legate al “temporalismo”, al punto che Luigi Sturzo, che si ispirava invece a un cattolicesimo che vivesse in uno stato liberale, all’avvento del fascismo era stato costretto a scegliere la via dell’esilio, mentre il Vaticano “temporalista” o quanto meno “post-temporalista” (che cioè non pensava più alla restaurazione dello Stato della Chiesa, ma il potere temporale non lo disdegnava) non ebbe scrupoli ad accordarsi con lo stato fascista su una base concordataria.
E la Democrazia Cristiana a questa soluzione rimase legata e volle anzi che nella costituzione si inserisse la clausola che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa erano regolati dal Concordato del 1929. Senza contestazioni a sinistra. E non a caso. La posizione di Sturzo in fondo conteneva un riconoscimento dello stato liberale, e questo a sinistra era comunque considerato un grosso peccato. In una sinistra che vedeva nella contrapposizione tra capitale e lavoro, tra padroni e dipendenti lo scontro fondamentale nella società, era naturale che altri riferimenti di fondo fossero considerati elementi di disturbo…
Esisteva poi il prolungamento sindacale di questa posizione e i tre grandi partiti di massa avevano tutti un importantissimo riferimento sindacale, che significava una convergenza indispensabile nella gestione dei problemi del lavoro. Ma quando il comunismo giunse alla fine, non si ebbe un grande dibattito nazionale, nel quale tutti fossero coinvolti, perché con la vicenda comunista tutti lo eravamo stati. Sul comunismo è sceso un silenzio forse inspiegabile. Ma questo spiega perché i delusi del PCI non votano nemmeno Liberi e Uguali.
In secondo luogo non si teneva conto di un fatto fondamentale che si era verificato nelle esperienze fasciste tra le due guerre, cioè che fascismo e nazismo… avevano dato vita a una formula politica che aveva realizzato la convergenza nello stesso partito sia dei padroni che dei dipendenti, sia degli sfruttatori che degli sfruttati…. Sottolineare questo punto o anche soltanto farne oggetto di discussione era impossibile: avrebbe significato mettere in discussione il fondamento stesso di tutta una cultura, prima ancora che di una politica. Qualche sindacato vicino al Movimento sociale è poi venuto in essere… ma si è preferito evitare discussioni… pericolose.
Infine forse il capitolo più importante: possibile che la sinistra nella sua produzione intellettuale e nel suo dibattito interno non si sia mai soffermata?
Non si sia mai soffermata:
- sul fatto che l’Europa (coinvolgendo anche tanta parte del resto del mondo…) nella prima metà del secolo si era ben due volte massacrata in conflitti tremendi in nome di un nazionalismo esasperato, bellicoso, guerrafondaio che con l’originaria idea di nazione non aveva nulla a che fare;
- sul fatto che nell’idea originaria di nazione - fatto di identità – erano ricomprese quelle di libertà, eguaglianza, fratellanza per le quali i “patrioti” andavano a combattere anche per le patrie degli altri popoli contro gli stati delle monarchie assolute;
- e sul fatto che il sovranismo sta combinando il terzo guaio, speriamo non così sanguinoso come i primi due, ma con conseguenze storiche profonde e durevoli: come successe all’Italia alcuni secoli fa;
- e infine sul fatto che tutto questo significa che il sovranismo (statalismo) rischia di far fuori definitivamente la democrazia liberale e socialista.
Comunque sia, su Repubblica del 16 u.s. Eugenio Scalfari ha formulato una proposta per il PD che non può essere ignorata.Visto che le due anime del PD appaiono inconciliabili, meglio dar vita a due partiti: uno più di sinistra e l’altro più moderato, più repubblicano (nel senso del Partito che portato tale nome), due partiti non rivali, ma ben decisi ad andare d’accordo.
Ecco, è difficile rispondere, ma in breve la soluzione appare in certo senso paradossale, anche se vittima della tradizione della sinistra, che ogni volta che non riusciva a mettersi d’accordo dava luogo a una scissione… Forse per la fretta, per non affrontare il problema di fondo… Ma la fretta è cattiva consigliera, come successe alla gatta che per la fretta fece i figli ciechi.
Il problema invece è sempre lo stesso e continua a perseguitare la sinistra che non vuole farci i conti. Ormai poi nel suo tratto di fondo, la storia lo ha risolto, perché, piaccia o non piaccia, il capitalismo ha vinto ed è da questo punto di partenza che occorre ripartire, tenendo conto del fatto che gli stati sociali non ce l’hanno fatta, ma che abbiamo ancora una speranza: quella di battere il sovranismo nelle prossime elezioni europee del 2019. Abbiamo sette mesi davanti, sette mesi che prima di tutto debbono essere il tempo di un grande dibattito storico/politico federalista e unitario in Europa, un dibattito sempre rinviato e oggi forse all’ultimo appuntamento.
Vien voglia di ricordare che un tempo, scherzosamente, si diceva che di tutte le nazionalizzazioni l’unica ben riuscita era stata quella del socialismo… purtroppo si diceva una grande verità.
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