Le elezioni europee si terranno tra il 26 e il 29 maggio dell’anno prossimo e quindi tra quasi nove mesi: è un tempo politico lungo, nel corso del quale molte cose possono succedere, soprattutto per il fatto che questa volta ci sarà un confronto politico vero e proprio. Nelle precedenti consultazioni infatti le forze politiche hanno cercato solo una conferma delle loro posizioni nazionali, ma sui temi europei non c’è stato confronto.
Questa volta invece lo scontro ci sarà, di fronte all’emersione molto netta di una tendenza sovranista, che contesta proprio l’Unione Europea come tale, alla quale attribuisce la responsabilità di molte gravi disfunzioni che caratterizzano il panorama politico di questi difficili giorni; si pensi anche soltanto alla questione immigrazione, alla quale gli europei sono particolarmente sensibili, ma non meno, ad esempio, al fatto che la Germania non reinveste il forte surplus accumulato nel campo delle esportazioni, del quale si discute molto meno, ma che grava pesantemente sulla crescita dei paesi del continente.
Impossibile non ricordare infatti al principio fondamentale della macroeconomia keinesiana, esposto nella Teoria Generale dell’ occupazione, dell’interesse e della moneta, che risale al 1936, opera nella quale si studia l’economia come un flusso continuo, che funziona se il reddito nazionale è consumato o investito, un flusso che se si interrompe provoca crisi economica e disoccupazione, che proprio quello che succede oggi, quando l’economia europea opera in un mercato comune e con una moneta unica.
È la dimensione confacente a una grande economia moderna, perché rappresenta la premessa indispensabile delle possibilità di investimenti necessari sia per tenere il passo con il progresso scientifico e tecnologico, ma anche per assicurare l’indispensabile concorrenza. Il tutto reso possibile dall’intervento dello stato, del potere pubblico.
La spesa pubblica cioè, il sistema fiscale, gli investimenti pubblici rappresentano interventi statali nell’economia, non nel senso di dar vita a un sistema di produzione affidata ai pubblici poteri, ma in quello di correggere le storture dei mercati e impedire le speculazioni. Solo che gli stati nazionali hanno oggi poteri troppo limitati per riuscire a svolgere azioni efficaci nel campo di un’economia globalizzata.
Che è proprio quanto manca quanto manca all’unione europea. E non a caso. Perché il sovranismo degli stati ha bloccato la crescita politica del processo di unificazione del continente, soprattutto ad opera del Regno Unito, che alla fine ha deciso di lasciare l’Unione, con effetti che erano facilmente prevedibili, ma dei quali non è stata consapevole la parte più conservatrice e tradizionalista del paese. E con le disastrose conseguenze che già si sono verificate in danno degli stessi inglesi. Tra l’altro poi il Regno Unito non riesce nemmeno a uscire dall’Europa, stipulando un patto con Bruxelles che almeno limiti il disastro.
Occorre poi considerare il fatto che le nostre esportazioni - un affare di oltre duecento miliardi di euro – sono inquadrate nell’euro, che consente ampio volume di scambi senza problemi di cambio delle monete e che l’euro – una moneta forte, stabile e molto appetibile - rappresenta una delle garanzie fondamentali in particolare per i cittadini a reddito fisso, cioè per i dipendenti e i pensionati in particolare e per i risparmiatori, che acquistano obbligazioni, titoli di debito pubblico e che comunque investono in prestiti in denaro. Tutto vero, ma non manca una parte negativa. Ed è particolarmente grave.
E proprio il sovranismo, in realtà, è il vero responsabile, con i gravi inconvenienti che si rimproverano all’Europa, ma che non debbono essere sottovalutati e soprattutto ignorati, come fanno tanti europeisti. Non si può infatti ignorare che le resistenze che hanno costellato la storia dell’europeismo sono tutte legate alla difesa a oltranza della sovranità nazionale.
Il passaggio di fondo, che ha bloccato sin dagli inizi la possibilità di un percorso “federale”, è stato il voto contrario sul progetto della Comunità Europea di Difesa (C:E:D.) ampiamente promosso dalla Gran Bretagna ed espresso dal Parlamento Francese il 31 agosto 1954 in una seduta che si concluse al canto della Marsigliese. Tra le motivazioni ci fu l’argomento che non si voleva il riarmo tedesco; ma, bocciata la CED il riarmo tedesco fu messo in atto lo stesso, ma senza le garanzie che la sovranazionalità assicurava.
Poi l’integrazione europea è proseguita sempre in nome dei grandi principi, ma ha dato luogo a un mero coordinamento tra gli stati nazionali, mentre poi - ultimo tentativo - la Costituzione Europa elaborata da Giuliano Amato e la Valéry Giscard d’Esrtaing è stata bocciata nel 2005 dai referendum popolari in Francia e Olanda. L’unico significativo passo in avanti è stata la creazione dell’euro, voluta da François Mitterrand e accettata da Kohl in cambio della riunificazione tedesca: cioè il massimo sforzo compiuto dei migliori “europeisti” per circoscrivere la creazione la creazione della maggiore potenza del continente non è stata in grado di compiere il passo decisivo.
E da quel momento è stato un pis aller, perché l’euro, privo di un dimensione politica, è rimasto esposto a tutti gli attacchi economici e politici provenienti dall’interno dei singoli paesi. Basta leggere l’intervista rilasciata da Oettinger, Ministro delle Finanze Europeo al Corriere della Sera del 1 settembre scorso e soffermarsi sul sincero riconoscimento dell’impotenza della “buona volontà” della Commissione per rendersi pienamente conto dello “Stato dell’Unione” (tralasciamo le aggettivazioni): emerge il nitido profilo dell’attuale paradosso europeo.
Oggi esista in Europa un’accentuata tendenza a cercare la soluzione dei gravi problemi dell’Unione affidandosi proprio alle regole e alle prassi che ne sono le autentiche responsabili. Al sovranismo non si può contrapporre questa Europa e il corrente europeismo, che sono indifendibili: lo sono sul piano delle migrazioni e dell’accoglienza, lo sono sul piano della sicurezza (si pensi anche solo alle periferie urbane), lo sono sul piano economico (basti l’esempio della Germania, di cui sopra si è detto), lo sono sul piano dei servizi resi dallo stato sociale (le attese per le cure mediche, le assegnazioni delle case popolari…): una guerra tra poveri…
E basti considerare come l’uscita della più che sovranista Gran Bretagna, ammesso che vada in porto, è ben compensata dall’accentuato sovranismo marciante dell’ Italia, nonostante i disastri che sta provocando proprio ai… fuoriusciti. E poi come si fa a confidare in una più soddisfacente sistemazione dei migranti nei vari paesi europei, cioè in una sconfitta clamorosa dei sovranisti, proprio costruendo fronti con i loro esponenti più determinati?
Sicuramente sta maturando nel Continente una presa di coscienza dei termini dello scontro su cui si giocherà la consultazione europea del prossimo maggio e i nove mesi che ancora ci dividono dalla consultazione non sono pochi; ma occorre partire dalla constatazione che i problemi che abbiamo davanti sono il residuo di incrostazioni residuate dal passato e dure da scalfire. La storia di questi ultimi settant’anni ne fornisce la prova più profonda, mentre le posizioni sovraniste sfruttano (e canalizzano) risentimenti popolari da essi ampiamente provocati.
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